Nessun profumo vale l'odore di quel fuoco

Un uomo come Gesù solo Dio ce lo poteva dare

Sabato incontro della fraternità ALPE ADRIA SCOUT lascio alla parole di Paolo Modotti:
Nel 2001 ho avuto la “fortuna” di partecipare alla distribuzione della Luce fino in Sardegna e nel
2002 dopo il “protocollo iniziale dell’Alpe Adria Scout” parlandone con Alberto ci è venuta l’idea di fare lo SCAMBIO tra le Associazioni che avevano aderito alla Fraternità.
Scrivendoci anche con Ales Cerin è stato suggerito di trovarsi al Monte Lussari ( Svete Višarje), al Santuario della Regina dei Popoli d’Europa il 21 dic. 2002 proprio per suggellare l’inizio di un rapporto di PACE e FRATELLANZA tra gli Adulti Scout del MASCI, delle GILDE e del appena nato ZBOKSS (di cui sono stato “padrino” a Postojna il 30.03.2001).
Sono andato a fare una ricognizione e purtroppo non c’era neve, anche se il freddo era intenso, per cui la cabinovia non funzionava: mi sono rivolto così al Parroco di Camporosso che di buon
grado ci ha ospitato nella sua chiesa e poi nel vicino asilo delle suore.
Da qui si deduce che la LUCE DELLA PACE era solo il simbolo che poteva aggregarci e non la motivazione dell’incontro e farci conoscere tra Adulti Scout delle tre Nazioni. Avremmo potuto anche chiamare l’incontro in altro nome; come faremo quest’anno, ma ci sembrava allora che questo simbolo, meglio di ogni altro, accomunasse i nostri valori di Fraternità Internazionale e di ambizione alla PACE (la Slovenia non era ancora entrata nell’UE).

La preghiera che viene letta al termine di ogni S. Messa al Santuario (che riporto qui sotto) è stata la traccia che per tutti questi anni ci ha incoraggiato e spronato ad andare avanti.

Preghiera alla Regina dei Popoli d’Europa

O Regina del Monte Santo di Lussari, che da oltre seicento anni vegli dal luogo dove s’incontrano i tre popoli d’Europa: il latino, lo slavo ed il tedesco, conserva il tesoro della pace, sospiro di ogni cuore, dono di Dio agli uomini di buona volontà. Fa che i popoli d’Europa s’incontrino in fraterna intesa nella stima e rispetto vicendevole, nello sviluppo della comune civiltà cristiana. Benedici tutti coloro che accorrono ai tuoi piedi e, nelle diverse lingue, ma con la stessa fede
e con lo stesso amore, Ti lodano e Ti esaltano come Madre di Dio e Madre nostra. O vergine fedele, aiuto dei cristiani, illumina gli erranti nella fede e fa che tutti i tuoi figli d’Europa cerchino con buona volontà la verità nella carità, perché la Chiesa di Cristo,
secondo la preghiera del tuo divino Figlio Gesù, sia una, Madre a tutti di grazia e di salvezza.

 ”Madonna di Monte Lussari, Regina d’Europa, prega per noi!”


18 dicembre 2016
IV domenica di Avvento – Anno A

di ENZO BIANCHI


Brevi note sulle altre letture bibliche

Isaia 7,10-14

Il profeta Isaia inizia il suo ministero dopo la vocazione e la missione ricevute nel tempio nel 740 a.C. (cf. Is 6,1-13). Si reca dal re Acaz, in una situazione di crisi politica, e gli chiede di non temere e di confidare nel Dio di Israele, perché solo chi crede può restare saldo (cf. Is 7,4-9). Poi lo invita a chiedere un segno al Signore, per poter credere. Di fronte al rifiuto del re, è il profeta stesso a promettere un segno di salvezza da parte del Signore: “Una giovane donna concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Immanu-El”, Dio-con-noi. La nascita di un bambino sarà dunque segno e pegno che Dio è con noi, con il suo popolo santo. Il brano evangelico odierno cita questa profezia.

Lettera ai Romani 1,1-7

L’inizio della Lettera ai Romani è teologicamente densissimo: “Paolo” è “servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il Vangelo”. Cosa contiene questa buona notizia? Ciò che era stato promesso dai profeti nelle sante Scritture si è compiuto con la venuta del Figlio di Dio nel mondo, “nato dalla discendenza di David”, dunque uomo fragile e mortale, ma “costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della resurrezione dei morti”. Ecco tutto il Vangelo: Gesù è nato come uomo, è vissuto come uomo fino alla morte, ed è stato risuscitato dai morti, divenendo il Vivente, il Signore per sempre. Il brano evangelico odierno illustra come Gesù è discendente di David, il Re Messia.


Mt  1,18-24

18 Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19 Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. 20 Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; 21 ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
22 Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
23 Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio:
a lui sarà dato il nome di Emmanuele,
che significa Dio con noi. 24 Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.


L’Avvento sta per concludersi e dopo tre settimane nelle quali l’attesa era indirizzata alla parousía, alla manifestazione finale del Veniente, il Figlio dell’uomo nella sua gloria, ora inizia un tempo di memoria: ricordiamo eventi del passato, la preistoria del Messia, facciamo memoria di come il Figlio di Dio è venuto nel mondo, perché proprio questi eventi fondano la nostra attesa della venuta gloriosa di Cristo. Si faccia pertanto attenzione: non attendiamo il Natale, evento già avvenuto che possiamo solo ricordare, ma confessiamo la nostra fede nel Signore Gesù anche nel suo venire nel mondo, confessiamo il mistero centrale della nostra fede, l’incarnazione, nelle tappe e negli eventi che hanno manifestato il disegno di salvezza di Dio.

Qual è dunque la ghénesis (cf. anche Mt 1,1), l’origine di Gesù? Così la racconta Matteo: c’è una ragazza di Nazaret di Galilea, Maria, promessa sposa di Giuseppe. Questa era l’usanza nelle nozze ebraiche: venivano stipulate con il fidanzamento, ma a volte passava un certo tempo tra l’impegno matrimoniale e la convivenza dei due sposi, soprattutto se in età adolescenziale. In questo tempo in cui Maria e Giuseppe non convivono ancora insieme e quindi non consumano le loro nozze, accade ciò che è umanamente inaudito: Maria si trova incinta, il suo grembo è fecondato, vi è in lei un figlio che attende di venire alla luce. Cosa significa questo fatto? Diciamolo subito: quel Figlio solo Dio può darlo, e l’azione creatrice di Dio è all’opera in Maria. Non il caso né la necessità, il destino, presiedono a quella gravidanza, ma la volontà di Dio stesso, che vuole essere “veniente” tra gli umani. Ecco la genesi di Gesù di Nazaret:

una donna, Maria,
lo Spirito di Dio che agisce in lei come Spirito creatore che “cova sulle acque” (cf. Gen 1,2, versione siriaca)
e un uomo che appare come un testimone.

L’evangelista Matteo non si interessa né alla reazione psicologica di Maria né a quella di Giuseppe, ma vuole metterci di fronte a una situazione reale, pur nell’aporia: Maria è incinta senza aver conosciuto uomo e Giuseppe ignora cosa possa essere accaduto. Quest’ultimo è presentato come uno tzaddiq, ossia un giusto, un credente, e venuto a conoscenza della situazione di Maria pensa di sciogliere il vincolo nuziale, senza dire nulla pubblicamente, per non svergognarla. Difficile per noi decifrare cosa muoveva Giuseppe ad assumere tale decisione, e va detto che i commenti al riguardo, anche quelli dei padri della chiesa, sono incerti, a volte persino ridicoli. Secondo alcuni egli vorrebbe applicare la legge sull’adulterio, ma senza giungere alla violenza (cf. Dt 22,23-24); secondo altri è ferito e deluso… Più semplicemente, si può pensare che Giuseppe, accolta la spiegazione fornitagli da Maria, essendo pieno di timore di Dio, pensa di fare un passo indietro, per non vantare nessun diritto su quel bambino che Maria dice venire da Dio: di fronte alla paternità di Dio, Giuseppe rinuncia alla propria!

Quell’aporia può essere risolta solo da una rivelazione, dall’alzare il velo da parte di Dio con la sua parola. Ecco dunque l’angelo, il messaggero del Signore, che si fa presente a Giuseppe mentre egli dorme, in un sogno, mezzo attraverso il quale nell’Antico Testamento Dio ha più volte rivelato la sua volontà e la sua azione (come a uno dei figli di Giacobbe, Giuseppe, l’uomo dei sogni: cf. Gen 37,5-11). Il messaggero di Dio si rivolge a Giuseppe ricordandogli la sua identità, che contiene anche una missione: “Giuseppe, tu che sei figlio di David, che hai un posto nella discendenza messianica, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”. Questa parola del Signore chiede a Giuseppe obbedienza, gli chiede di essere sposo di una sposa che gli dà un figlio come Dio l’ha promesso nella discendenza di David a tutto il popolo santo. Giuseppe deve accettare questa spogliazione del suo essere sposo e saper vivere una paternità non sua: paternità che eserciterà dando al figlio il nome Jeshu‘a, Gesù, che indica la sua missione di salvezza, dunque di perdono dei peccati (cf. Lc 1,77). Giuseppe è invitato a diventare padre, a sentirsi padre di un figlio che non viene dal suo desiderio, dalla sua decisione, ma soltanto da Dio: sarà padre di Gesù secondo la Legge e tale sarà chiamato dai suoi conoscenti che non conoscono le profondità del mistero (cf. Lc 4,22). Giuseppe deve esercitare la sua qualità di figlio di David su colui che è il Figlio di David promesso e acclamato (cf. Mt 21,9).

Di fronte a questo racconto di miracolo, gli uomini e le donne di oggi sono tentati di restare esitanti, di leggerlo come un mito, ma con sguardo puro dovremmo giungere a capire ciò che in profondità vuole comunicare alla nostra fede. Più che la forma narrativa, dobbiamo cogliere l’intenzione dell’evangelista, che è questa: far comprendere al lettore che un uomo come Gesù solo Dio ce lo poteva dare, che è stato Dio a inviarlo; anzi, se Gesù era in forma di Dio e si è spogliato con l’umanizzazione (cf. Fili 2,6-7), allora è veramente il frutto della volontà di Dio e dell’acconsentimento dell’umanità a questo “meraviglioso scambio” (antifona dei primi e secondi vespri della solennità di Maria SS. Madre di Dio, 1° gennaio), a queste nozze. Come dire che Gesù era in relazione con Dio, che era la presenza di Dio tra gli uomini? L’unzione dello Spirito santo che feconda il grembo di Maria appare un racconto adeguato per fondare la fede.

A Giuseppe, dunque, non è data innanzitutto una “rivelazione” sul Figlio, ma una “vocazione”: come a Osea fu chiesto di sposare una prostituta, a Geremia di restare celibe, a Ezechiele di restare vedovo, a Giuseppe è chiesto di accogliere come figlio Gesù, un figlio che in verità non è suo figlio, ma Figlio di Dio. Così Giuseppe dà alla sua sposa Maria non solo una casa, ma anche un casato, quello di David, permettendole di entrare nella discendenza messianica, di compiere la promessa di Isaia e di imporre al figlio il Nome che contiene in sé anche una missione. Per questo Matteo annota: “Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: ‘Ecco, la vergine – termine che viene dalla versione greca dei LXX, mentre l’ebraico dice, alla lettera, “una giovane donna, una ragazza” – concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi’ (Is 7,14)”. Quando Giuseppe si sveglia, senza fare alcuna obiezione, “fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa, la quale, senza che egli la conoscesse, diede alla luce un figlio che egli chiamò Gesù”. Giuseppe era stato definito “giusto”: ora lo conosciamo come credente e obbediente alla parola del Signore nel silenzio. Le vocazioni sono diverse: c’è chi è chiamato da Dio a fare la sua volontà proclamando, annunciando, addirittura gridando (come il Battista, cf. Mt 3,3 e Is 40,3); e c’è chi è chiamato a eseguire, a fare concretamente, in un abisso di silenzio. Nei vangeli non ci è testimoniata alcuna parola di Giuseppe, ma di lui sono attestati l’obbedienza e il silenzio: non mutismo, ma silenzio di adorazione, di custodia, di approfondimento del mistero.

Questa pagina può essere per noi un grande insegnamento: ci dice infatti che Dio può sorprenderci e che quando, secondo la nostra giustizia davanti a lui, abbiamo elaborato e deciso un tragitto, il Signore può improvvisamente chiederci di mutare direzione e cammino, verso un orizzonte che ci resta oscuro. È l’ora di obbedire mettendo un passo avanti all’altro, sicuri che “camminando si apre cammino” (Antonio Machado) e che il Signore solo ci precede. Questo deve bastarci.


 Userò le parole dell’autrice di questa foto per raccontarla, non ci sono parole migliori, aggiungerò solo una piccola introduzione per comprendere come è costruita l’immagine e nel testo descrittivo porrò tra parentesi quadre delle valutazioni sulla scelta di porla accanto al brano evangelico.

Questa foto afferra il nostro occhio perché sembra che le due donne “danzino”. Si tengono per mano in un perfetto parallelismo (come si può vedere nelle linee dello stesso colore nella composizione). Qui sta la bravura della fotografa: aver scattato attendendo di cogliere l’attimo in cui la posizione delle due donne fosse perfettamente simmetrica. Ovviamente il fatto descritto non permetteva in alcun modo che le due donne si mettessero in posa, il risultato è un premio per la pazienza e la tenacia di Cristina Garcia Rodero.

Ecco le sue parole per descrivere questo scatto:
“Queste fotografie sono state scattate in Georgia nel settembre-ottobre del 1995, quando Medici Senza Frontiere celebrava l’anniversario della sua fondazione. La Georgia era a pezzi per la lacerante guerra civile causata dai conflitti etnici nelle regioni secessioniste dell’Ossezia del sud e dell’Abkhazia.

Mi reco all’ospedale locale e, una volta là, mi dirigo verso il reparto maternità. Mentre fotografo i bambini sento delle urla impressionanti. Chiedo cosa stia accadendo e a gesti mi fanno capire che qualcuno sta per partorire. Chiedo il permesso di fotografare, che mi viene gentilmente concesso, sebbene non comprendano il mi interesse. Entrando nella stanza trovo una ragazza – praticamente una bambina – che sta per partorire. Mi commuovono la generosità e l’umanità di una infermiera, che stringe le mani della madre durante tutta l’agonia delle doglie, confortandola, aiutandola, rassicurandola. [Questa donna non è lasciata sola in una condizione davvero difficile, così come accade a Maria nel vangelo di questa domenica, avrà al suo fianco Giuseppe].
Il ricordo principale che mi è rimasto è di quella donna magra, con la pelle tirata, gli zigomi alti e gli occhi infossati di un blu trasparente e freddo, con indosso un semplice camice bianco, piena di umanità. Il suo calore compensava gli enormi deficit tecnici dell’ospedale. [Quante volte anche noi potremmo compensare tanti “deficit tecnici” della vita soltanto facendo sentire la nostra presenza accanto agli altri?] La giovane puerpera – così bella mentre giace sul letto nella sua vestaglia – grida il nome di sua madre a ogni contrazione.

Perdo la cognizione del tempo. Per essere all’altezza del letto, mi piego in un angolo della stanza. Non c’è altro spazio. Di quando in quando altre infermiere vengono a vedere se ho finito o a controllare che cosa sta succedendo e sorridono – senza capire – nel vedere la mia concentrazione e attenzione per queste due donne, unite dal dolore e dalla gioia, all’arrivo di una nuova vita.”[Una nuova vita sta arrivando, nasce all’interno di una vicinanza, di una prossimità mano nella mano. Giuseppe sarà accanto a Maria, sarà il suo conforto di fronte ad un avvenimento che sta cambiando le loro vite, le nostre vite.]

Fratel Elia