Nessun profumo vale l'odore di quel fuoco

Comunità del Porcellino

Come spesso accade “nessuno è  profeta in patria” la prossima assemblea regionale del veneto la facciamo a Piazzola Sul Brenta e ai più questa località ricorda la famosa villa Contarini, ma pochi sanno che oggi è famosa perchè è qui che ha preso i natali Giuseppe Criconia,  che con Maria Teresa prima donna sposata ad essere presidente delle donne di Aziona Cattolica si distinsero nel primo dopoguerra per aver dato vita a quella realtà famigliare che va sotto il nome della COMUNITA’ del PORCELLINO, erano  loro infatti che accolsero in casa La Pira, Lazzati, Dossetti, Fanfani, dove si costruirono le basi della nostra COSTITUZIONE, i loro figli tutti passati attraverso l’esperienza scout sono stati più volte a Piazzola per ricordare il padre, io sono fermamente convinto che la missione dell’A.S. sia anche di conservare la memoria, non in modo piagnucoloso, ma in modo che le generazioni possano capire che il passato apre la strada al futuro. 

-Vi propongo l’articolo apparso sull’Osservatore Romano all’indomani della morte di Giuseppe la Moglie Maria Teresa è ancora viva.. a Roma … Un abbraccio Albert


Comunità del Porcellino

     Raffaele Alessandrini

     Il nome della Comunità del Porcellino, oltre a far sorridere,  

dirà poco o nulla al lettore. Viene a rammentarlo la figura di  

Giuseppe Criconia, morto il 1° gennaio 2008 a Roma, i cui funerali si sono  

celebrati giovedì mattina nella parrocchia di Santa Paola. Con lui  

muore uno degli ultimi esponenti di quel singolare “sodalizio di  

convivenza” – sorto per necessità puramente logistiche presso la  

storica parrocchia romana di Santa Maria in Vallicella:  la Chiesa  

Nuova – che, nel clima della Costituente, vide riuniti a Roma  

personaggi come Giorgio La Pira, Giuseppe Lazzati, Giuseppe Dossetti,  

Amintore Fanfani, Laura Bianchini, Angela Gotelli. Un sodalizio  

davvero curioso che Criconia, pur essendo il meno conosciuto – come  

egli stesso teneva a ricordare qualche anno fa – aveva contribuito in  

modo determinante, benché casuale, a riunire.

     Egli stesso, del resto, è stato a tutti gli effetti un modello  

esemplare di quel laicato cattolico che, tra la fine della seconda  

guerra mondiale e gli anni della ricostruzione, tanto ha dato al  

proprio paese in fatto di onestà, di discrezione, di nettezza morale,  

di disinteressato servizio:  fatto di mezzi poveri; di umiltà; di  

rigore; di competenza professionale. Per anni Criconia operò  

nell’Azione Cattolica anche come presidente del gruppo romano dei  

laureati. E anche più tardi, negli anni successivi alla pensione, si  

sarebbe dedicato attivamente al volontariato accanto agli ammalati –  

in modo specifico agli infermi di mente – agli albori della Caritas  

romana, a fianco di don Luigi Di Liegro.

     La sua vicenda umana e cristiana lo avrebbe messo a contatto, e  

in amicizia, con personaggi di primo piano nella storia della  

repubblica italiana e del movimento cattolico, ma non di minore  

entità fu la sua personale testimonianza operosa di laico, di padre  

di famiglia, di professionista. Una testimonianza vissuta  

silenziosamente “dietro le quinte”, pur con tutti i suoi risvolti  

particolari.

     Nato a Piazzola sul Brenta (Padova) nel 1916, Giuseppe Criconia  

aveva studiato a Venezia e presso l’Università di Ca’ Foscari  

conseguì la laurea in Scienze Economiche sotto la guida di Ezio  

Vanoni. Il maestro, colpito dalla serietà dell’allievo, ne favorì  

l’assunzione all’Iri di Roma nel novembre del 1939. Come ricorda lo  

stesso Criconia in una memoria di qualche anno fa, la sua vita  

professionale si sarebbe svolta interamente nella capitale, salvo il  

triennio 1943-1946 quando l’Iri, dopo l’8 settembre, fu trasferito a  

Milano. Qui, nel capoluogo lombardo, il giovane veneto ebbe contatti  

nella clandestinità con i dirigenti della democrazia cristiana per  

l’alta Italia e partecipò attivamente alla Resistenza. Fu ospite del  

centro di assistenza sociale “La casa” organizzato dal sacerdote di  

Augusta (Siracusa) don Paolo Liggeri (1911-1996). Iniziativa sorta  

per aiutare quanti avessero avuta distrutta la loro abitazione dalla  

guerra, “La casa” in realtà offriva ospitalità anche a perseguitati  

politici e razziali e, in collegamento con la Radio Vaticana,  

registrava e inoltrava messaggi ai familiari dei militari prigionieri  

o dispersi. Secondo fonti dell’Anpi si calcola che da “La casa” siano  

stati trasmessi – antenna della trasmittente clandestina era un filo  

pendente da un parafulmine – oltre 172.000 messaggi. Anche Criconia  

fu sorpreso dall’irruzione che i nazifascisti operarono il 24 marzo  

1944 nello stabile di via Mercalli. Quel giorno don Liggeri fu  

arrestato e in seguito deportato in Germania – sarebbe stato  

ritrovato e liberato dagli americani il 29 aprile 1945 dal lager di  

Dachau. Criconia invece scampò miracolosamente all’arresto per una  

circostanza singolare. Aveva diversi fogli di stampa clandestina  

nella scrivania e, ormai rassegnato al peggio, rimase muto e  

sbalordito che, all’atto della perquisizione, il suo cassetto fosse  

stato aperto e, quasi subito, bruscamente richiuso; senza  

conseguenze. Rientrato in stanza a pericolo passato, Criconia riaprì  

il cassetto e si accorse che la sua penna stilografica d’oro era  

sparita. Respirò. Non tutto il male viene per nuocere. Se l’occasione  

talvolta fa l’uomo ladro, l’avidità lo rende sempre cieco.

     Fu dunque a Milano che Criconia conobbe l’impetuosa bresciana  

Laura Bianchini (1903-1983), docente di filosofia e pubblicista,  

partigiana e deputata – alla I legislatura e in seguito insegnante di  

storia e filosofia al liceo “Virgilio” di Roma dal 1953 al 1973. Allo  

stesso periodo risale l’incontro con i cosiddetti “professorini”  

dell’Università Cattolica del Sacro Cuore:  Fanfani, Dossetti,  

Lazzati. Quando questi amici si trasferirono a Roma, riuniti da  

Dossetti – che nel luglio 1946, essendo stato eletto vicepresidente  

della democrazia cristiana, aveva chiesto aiuto per l’impostazione e  

la realizzazione dei suoi nuovi impegni – per tutti ci furono  

notevoli difficoltà di natura logistica. Dispersi in punti diversi  

della città, c’era bisogno di incontrarsi per discutere – il che per  

forza di cose doveva avvenire, spesso, di sera – e per spostarsi da  

un luogo all’altro si dovevano superare non pochi disagi. A volte  

talune case di amici comuni, più facilmente raggiungibili da tutti,  

dovettero essere elette a punto di ritrovo:  è ad esempio il caso  

dell’abitazione dell’economista Serafino Majerotto (1908-1995),  

trentino di Caldonazzo, anch’egli laureato alla “Cattolica” e  

impiegato in Vaticano all’ufficio studi dell’amministrazione speciale  

della Santa Sede. Majerotto abitò per alcuni anni a via Morin, una  

traversa di via della Giuliana, ad un passo da San Pietro, e la sua  

abitazione fu per diverso tempo punto d’incontro e di discussioni dei  

“professorini” e dei loro amici.

     Un giorno Criconia, essendo andato a trovare la Bianchini nella  

sua abitazione di via della Chiesa Nuova, 14, ove l’insegnante  

bresciana era ospite con Angela Gotelli, presso le sorelle Pia e  

Laura Portoghesi, grazie alla mediazione determinante del parroco  

della Chiesa Nuova, l’oratoriano padre Paolo Caresana, venne a sapere  

che i proprietari del II piano del palazzo si sarebbero trasferiti.  

Era perciò possibile prenderlo in affitto. Criconia prese rapidamente  

contatto col proprietario. Un detto e un fatto. Regolate le formalità  

cinque nuovi inquilini si stabilirono nell’appartamento:  erano  

Fanfani, Dossetti, Lazzati, Giuseppe Glisenti e Criconia.

     Racconta uno dei nipoti delle sorelle Portoghesi, Telemaco Tuzi,  

che Criconia, in procinto di sposarsi, chiese e ottenne che gli fosse  

lasciata la stanza più grande dove voleva sistemarsi con la moglie in  

attesa di una soluzione definitiva; quella stessa stanza, prima del  

matrimonio di Criconia, di comune accordo fu utilizzata da Fanfani  

allorché questi, nominato ministro del Lavoro, si trasferì a Roma con  

la famiglia. Intanto su insistenza della Bianchini, una delle padrone  

di casa Laura Portoghesi, la quale aveva già trovato una persona che  

si occupasse delle pulizie dell’appartamento del II piano, decise di  

provvedere alla preparazione dei pasti e da allora tutti mangiarono  

insieme.

     La comunità cresceva. Si aggregò La Pira che per un certo tempo  

aveva abitato con Dossetti in via Bonifacio VIII – oggi via Alcide De  

Gasperi – nello stesso palazzo dove abitava lo statista trentino;  

vennero via via altri giovani. Il nome della Comunità del Porcellino,  

racconta Tuzi, nacque dall’intercalare che Laura Bianchini – in casa  

detta Laurona per distinguerla da Laurina Portoghesi, molto più  

piccola e minuta – era solita utilizzare. “Laurona, carattere forte  

da “vecchio alpino”, come a lei piaceva definirsi, quando perdeva la  

pazienza etichettava gli interlocutori, e specialmente i commensali,  

con l’epiteto:  “Tu sei un porco””.

     L’11 giugno del 1947 alle ore 21, nel salotto bello della casa  

fu convocata la comunità e nello spirito fucino – sanamente  

goliardico – che li distingueva, fu redatto un atto ufficiale di  

costituzione con il padre Caresana in qualità di notaio. Autori  

principali del testo furono un altro oratoriano:  padre Guido Adolfo  

Martinelli – anch’egli bresciano – e la professoressa Bruna Carazzolo  

di Padova, a Roma in quanto vicepresidente dei laureati cattolici, e  

ospite fissa alla tavola della “Comunità”.

     “Il primo emblema della Comunità fu un porcellino di vetro  

appeso, con nastro tricolore, al lampadario della sala da pranzo.  

Dono di Vittorino Veronese. Fu seguito da un tagliere di legno a  

forma di porco che fu suddiviso in diverse parti assegnandone una a  

ciascuno dei soci:  lardo di Beppe (Lazzati), spalla di Criconia,  

pancetta di Piccioni, prosciutto in miniatura di Laura (Bianchini),  

zampino di Fanfani, zampone di Pippo (Dossetti), gota di Angela  

(Gotelli), cuore di Giorgio (La Pira), grugno di Calosso, orecchie di  

Portoghesi.

     “Sul retro fu scritto:  Lazzati, Dossetti, Gotelli e Bianchini  

furono a Roma da porcellini, a eterna memoria di loro pose il  

Ministro del Lavoro. 1947″.

     Inutile dire che la routine dei pranzi e delle cene fu  

movimentatissima e che spesso si distingueva per ospiti molto  

particolari. Da De Gasperi a Scelba, da Maritain a padre Gemelli.

     Era consuetudine, non sempre rispettata – osserva con rammarico  

Tuzi – riportare su un diario avvenimenti e citazioni. Una di queste,  

egli dice, resta chiara nella memoria:  sono gli auguri di padre  

Caresana alla “Comunità” per l’Epifania del 1949. Il parroco della  

Chiesa Nuova, originario di Brescia, amico carissimo e confessore di  

monsignor Giovanni Battista Montini, così scriveva:  “Ai parrocchiani  

di via della Chiesa Nuova 14, ultimo piano! Conforto e attesa del  

Padre curato e… della patria”.

     Padre Caresana rimase sempre legato a tutti i membri della  

“Comunità”. E quando Dossetti decise di farsi sacerdote e scese dal  

religioso oratoriano per comunicarglielo e per chiedere consiglio  

egli lo portò dinanzi all’altare dove riposa san Filippo Neri e –  

come ricorda padre Peppino Ferrari, che era presente – fattolo  

inginocchiare gli disse di affidarsi al santo romano.