Nessun profumo vale l'odore di quel fuoco

1° Chiaccherata con Enzo Bianchi- Alla ricerca del sé perduto

Chiaccherata del 1 dicembre 2020

Alla ricerca del sé perduto

1 dicembre 2020 dalle 20:30 alle 21:30

Carissimo/a,
ecco la traccia per il primo incontro con Enzo Bianchi.
Ti lasciamo una riflessione di Enzo sulla “cura del tempo”, le domande che introdurranno la chiacchierata di martedì e le letture della prima domenica di Avvento.
Enzo ci aiuterà a rileggere la Parola e ci offrirà alcuni spunti sui quali lavorare personalmente, alla luce di una realtà personale e sociale completamente modificata.

La cura del tempo, in questo tempo di pandemia, è fondamentale e forse ancora non ce ne rendiamo conto.
Quando è arrivata la prima ondata, ci ha sorpreso. E siamo stati subito toccati nella dimensione dello spazio, ma soprattutto in quella del tempo che ha coinvolto tutti, chi abitava in città come chi abitava in campagna. Il tempo, per tutti, era qualcosa che doveva essere organizzato. Improvvisamente c’era del tempo vuoto, da ri-significare, da riempire. E il tempo si è fatto vedere per chi si è fermato e interrogato con tutte le sue patologie contemporanee. Abbiamo percepito che siamo gente povera di tempo, una povertà alla quale si pensa poco. Ma chi è povero di tempo non possiede gli strumenti essenziali per essere consapevole di ciò che vive ogni giorno, per prendere coscienza del rapporto con il proprio corpo, con gli altri che gli stanno vicino, con sé stesso.

Noi siamo tempo. Non siamo solo nel tempo, siamo il tempo. Questa coscienza dovremmo averla: se il tempo che viviamo è malato, come potremmo essere sani? Abbiamo sperimentato le patologie del tempo: la fretta, non avere tempo, riempire il tempo sovente come tempo in fuga, dunque con una distrazione che non ci aiuta e non dà profondità alla nostra vita. Spesso il tempo diventava anche noia.

Con la seconda ondata della pandemia è subentrato, insieme al tempo, qualcosa che si è insinuato, come un’abitudine con il segno dell’indifferenza. Ci siamo abituati, e questo è un aggravamento del male del nostro rapporto con il tempo. Ci siamo abituati a sentire le sirene che passano in città, a sapere che ci sono molti più morti di quanti ce n’erano in primavera e che muoiono in condizioni disperate, a questo rumore continuo dei media sul COVID con una comunicazione sovente confusa. E il tempo, di nuovo, ci sfugge: non abbiamo ancora avuto la forza di esserne consapevoli e di diventare padroni del tempo, dominatori del nostro tempo.

Certamente, la dimensione del tempo che abbiamo ora è diversa in molte forme per tutti noi; ma in quel tempo, che spazio diamo alla presenza? Se il tempo è abitato diventa presenza: presenza nella mia persona, presenza nel mio corpo, non solo in un luogo, ma anche per gli altri. Questo significa stare con gli altri, rapportarsi con gli altri, donare il nostro tempo. Ma chi dà agli altri il tempo non solo dà la presenza, ma dà anche la vita, perché il tempo è la cosa più preziosa che abbiamo.

È una grammatica umana elementare, che dobbiamo assolutamente imparare di nuovo. Ne va della qualità della nostra vita, dei nostri affetti e delle nostre relazioni, determina la profondità con cui riusciamo a essere veramente nella dignità umana.

Se non cogliamo questo tempo in cui ci vengono a mancare molte cose e lo alieniamo ancor di più, o addirittura ci abbandoniamo a una forma di abitudine depressionaria, usciremo da questa ondata più poveri, senza aver imparato molto. Occorre una reazione da parte di tutti noi per disciplinare davvero il nostro tempo. Non dobbiamo aver paura di questa parola: disciplina. Occorre mettere disciplina nel nostro quotidiano, a partire dalla disciplina del tempo. Se sapessimo disciplinare la nostra giornata, i nostri rapporti con gli altri, vivremmo senza la tentazione di essere disperati o depressi. Ma per farlo ci vuole un certo coraggio.

Dobbiamo aiutarci vicendevolmente. Non sono soluzioni che si trovano nella solitudine e nell’isolamento, ma insieme. Affrontare quello che ci viene chiesto giorno per giorno indubbiamente è faticoso e doloroso, ma fa parte della condizione umana e perciò dobbiamo sentirci uniti. Ciò che conta è quello che facciamo come cura degli altri: è la santità, è ciò che è umano, ciò che ciascuno di noi deve avere come mandato, come vocazione, al di là della fede e della non fede. Abbiamo nel cuore di uomini questo fuoco che arde e che chiede di diventare amore. Questo ci deve bastare per poter stare insieme gli uni con gli altri, aver cura gli uni degli altri, salvarci gli uni con gli altri, perché da soli non ci si salva.

Una patologia del nostro tempo è il fatto di viverlo come aeternum continuum, togliendo ogni dimensione vera al tempo. Il tempo per noi umani ha sempre un inizio, una crescita, uno sviluppo, un andare verso la fine, e poi è la fine. Lo misuriamo guardando il volto di un uomo o di una donna, il volto di una persona: non c’è nulla che dica il tempo quanto il volto di una persona. Dal volto del bambino appena nato, al volto del giovane, al volto dell’adulto, al volto della persona anziana, perché la vita porta i segni del tempo e il tempo li imprime inesorabilmente.

Non è un aeternum continuum, non è vero che siamo sempre giovani. A un certo punto, lo vogliamo o no, sentiamo che dentro di noi opera la debolezza, la fragilità, la finitudine, finché ce ne andiamo. Nell’aeternum continuum non succede nulla, si va avanti, sembra che ieri sia come oggi e come domani e, soprattutto, non attendiamo nulla.

L’Avvento è la preparazione alla venuta del Signore. L’attesa della venuta è una dimensione importante della nostra vita. Dobbiamo essere in attesa, non abbiamo semplicemente un presente da vivere, ma abbiamo davanti a noi un futuro, un avvenire in cui qualcosa viene, ed è già oggi. Oggi, ora, qui, può avvenire.

Questa attesa ci dà la possibilità, costantemente, di ricominciare a vivere, di rinnovare la nostra vita, di sperare che rifiorisca l’amore dove l’amore sembrava morto. Allora è molto importante che ci siano dei tempi che in qualche misura ci risveglino, ci richiamino. Pensiamo quando durante l’anno sentiamo il bisogno di festeggiare un giorno: il ricordo della nostra nascita, la dipartita dei nostri cari, un grande evento. È molto bello, significa davvero che il nostro tempo è punteggiato di attesa del futuro. Siamo quelli che attendiamo, credenti o non credenti: siamo in attesa. L’attesa ci porta ad avere speranza, a dire che c’è un domani, a fare una carezza anche a chi di carezze sembra non voglia più saperne, perché non ci crede più. E invece è il momento di fare una carezza: così, semplicemente, risvegliamo l’attesa di una carezza nel quotidiano.

Non conosciamo mai noi stessi pienamente, profondamente; dopo tutta una vita di ricerca diciamo ancora che restiamo stranieri a noi stessi. C’è qualcosa di noi stessi che ci sfugge: possiamo metterci in ricerca, eppure la verità più profonda di ciascuno di noi sentiamo di doverla cercare, ma non la troviamo. Ebbene, proprio noi siamo chiamati a intraprendere un cammino per essere sempre più uomini, un cammino di umanizzazione. Il cammino della vita interiore lo percorriamo per umanizzarci, proprio perché sappiamo porci grandi domande: chi sono? Da dove vengo? Dove vado? Chi sono gli altri per me? Come sono caduto in questo mondo? E quando me ne vado, dove vado? Sono domande che ci abitano e che non possono essere spente. È la vita interiore: nel momento in cui ci facciamo tali domande nasce la vita interiore e non c’è l’immagine di Dio in questo orizzonte, non c’è distinzione tra credenti e non credenti. È semplicemente la nostra umanità.

È tempo di percepire che siamo poveri viandanti, alla ricerca di qualcosa, e che dobbiamo muoverci insieme su queste strade sconosciute. Nella nostra umanità mostriamo il Dio nel quale crediamo e al quale aderiamo.

Enzo Bianchi

Domande di apertura:

1. Come affrontare le nostre paure?
2. Cosa significa avere cura della propria interiorità? Quali tempi darci? Quali strumenti per esercitare il discernimento in questo tempo di pandemia?
3. Passato e futuro a volte ci creano ansia e aspettative non corrisposte col nostro immaginario: come vivere il quotidiano in modo fecondo?
4. Cosa significa che scoprire se stessi è anche scoprire l’altro?

Letture della prima domenica di Avvento

Se tu squarciassi i cieli e scendessi! (Is 63,16-17.19; 64,2-7)

Tu, Signore, sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore.

Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, cosi che non ti tema?
Ritorna per amore dei tuoi servi, per amore delle tribù, tua eredità.
Se tu squarciassi i cieli e scendessi!

Davanti a te sussulterebbero i monti.
Quando tu compivi cose terribili che non attendevamo, tu scendesti e davanti a te sussultarono i monti.
Mai si udì parlare da tempi lontani, orecchio non ha sentito, occhio non ha visto che un Dio, fuori di te, abbia fatto tanto per chi confida in lui.
Tu vai incontro a quelli che praticano con gioia la giustizia e si ricordano delle tue vie.
 Ecco, tu sei adirato perché abbiamo peccato contro di te da lungo tempo e siamo stati ribelli.

Siamo divenuti tutti come una cosa impura, e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia; tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento.
Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si risvegliava per stringersi a te; perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci avevi messo in balìa della nostra iniquità.

Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani.

 

Aspettiamo la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo (1Cor 1,3-9)

Fratelli, grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo!

Rendo grazie continuamente al mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della conoscenza.
La testimonianza di Cristo si è stabilita tra voi così saldamente che non manca più alcun carisma a voi, che aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo. Egli vi renderà saldi sino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo. Degno di fede è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione con il Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro!

Vegliate: non sapete quando il padrone di casa ritornerà (Mc 13,33-37)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.
Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati.
Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!»