Nessun profumo vale l'odore di quel fuoco

Domenica delle palme – 2° parte lavoro di gruppo


1 – L’ASCOLTO
Fratelli e sorelle carissimi, da sempre i cristiani nel tempo quaresimale, tempo di conversione, di ritorno al Signore, cercano di essere più assidui nell’ascolto della Parola di Dio, intensificando la loro preghiera, si esercitano maggiormente nell’arte della lotta spirituale per camminare in modo fedele e perseverante sulle tracce del Signore Gesù.
Questi incontri, queste condivisioni di riflessioni ogni venerdì sera in questa Basilica che da secoli è lo spazio in cui risuonano la parola di Dio e la preghiera della Chiesa, vogliono proprio nel cammino quaresimale aiutarci a ritornare al Signore.
“Convertitevi”, cioè ritornate al Signore, è l’invito dei profeti e l’invito di Gesù ancora oggi.
E noi rispondiamo innanzitutto ascoltando, accogliendo la Parola del Signore.
Ci mettiamo in ascolto per conoscere il Signore sempre di più, perché conoscendolo di più lo ameremo di più e potremo vivere in comunione con Lui.
Il tema scelto per le nostre riflessioni quaresimali è il tema della preghiera cristiana, ma in verità noi rifletteremo sulla nostra vita in comunione con Dio.
Come accendere questa comunione, come viverla?
La preghiera è nient’altro che l’eloquenza della fede, l’eloquenza della nostra adesione al Signore, è l’eloquenza della nostra speranza in Lui, è l’eloquenza del nostro amore per Lui.
Dunque la preghiera è l’eloquenza, il respiro di tutta la vita cristiana.
Chiediamo perciò al Signore all’inizio di questo nostro itinerario di concederci il dono dello Spirito perché possiamo accogliere la sua Parola, possiamo conservarla, meditarla nel cuore fino ad esser capaci di innalzare a Lui la lode, il rendimento di grazia e la domanda di salvezza nella consapevolezza di essere nient’altro che uomini e donne bisognosi della misericordia del Signore.
E così voglio soprattutto ringraziare questa sera l’Arcivescovo che mi ha dato questa opportunità di farmi con voi discepolo e soprattutto Mons. Erminio de Scalzi per l’invito ad essere qui in questa Basilica.
E spero di essere un povero servo della Parola, un eco della Parola. Nient’altro.
Ed ora predisponiamoci all’ascolto della Parola con un Salmo (Salmo 1) e con una invocazione al Signore.
Preghiamo: Signore, noi ti ringraziamo perché ci hai chiamati ancora una volta alla tua presenza per farci dono della tua Parola. Fa’ che la accogliamo con umiltà e attenzione e manda su di noi il tuo Spirito Santo perché possiamo discernere in essa il pane di vita, il corpo di tuo Figlio Gesù Cristo, vero nutrimento nel nostro cammino verso il Regno.
Sii benedetto ora e nei secoli dei secoli.

Ascoltiamo la Parola dal Vangelo secondo Luca (Lc10, 38-42)
“ In quel tempo Gesù, mentre era in cammino con i suoi discepoli, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: «Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma Gesù le rispose: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta»”.

Abbiamo ascoltato nel Vangelo di Luca la narrazione di un incontro con Gesù.
Gesù è in cammino, è accolto in una casa, la casa di Marta, di Maria, di Lazzaro. Sono gli amici di Gesù presso i quali Gesù abitualmente sostava nel suo andare predicando di villaggio in villaggio.
Gesù è accolto. Ma subito Marta è come travolta dall’impegno di molti servizi.
Marta porta un nome significativo. Il suo nome significa “signora”, “padrona della casa” e Marta ha una buona intenzione, vuole accogliere bene Gesù, certamente preparandogli un pranzo, preparandogli un luogo in cui Gesù possa riposare e in questo si affanna, si agita per molte cose.
Invece Maria, sua sorella, dopo che Gesù è entrato in casa, si siede ai suoi piedi, nella posizione del discepolo, nella posizione di chi accoglie un insegnamento dal Maestro, ed è tutta tesa ad ascoltare le parole di Gesù.
Due sorelle, due atteggiamenti molto diversi anche se entrambi gli atteggiamenti vogliono accogliere Gesù.
Si accende una tensione.
Marta si rivolge a Gesù e gli dice stizzita: “Signore, ma non ti importa che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille di aiutarmi”. Marta fa una richiesta a Gesù, vuole che Gesù in qualche misura biasimi sua sorella e faccia sì che sua sorella si metta con lei ad occuparsi di molte cose.
Ma all’interno di questa tensione il Vangelo pone a noi che l’ascoltiamo il vero problema, la vera domanda: Quando incontriamo veramente Gesù? Lo si incontra quando si hanno buone intenzioni come Marta, che però in verità è distratta da troppe cose, è ansiosa e preoccupata da molti servizi, oppure si incontra Gesù quando, come Maria, ci si mette innanzitutto in ascolto di Lui?
E la risposta a questa domanda viene dalla parola di Gesù che rimprovera a Marta il turbamento, la distrazione, la preoccupazione e indica nell’atteggiamento di Maria, atteggiamento dell’ascolto, ciò che è veramente buono, ciò che è assolutamente necessario per incontrarLo.
Gesù dice: una sola cosa è necessaria per incontrarLo, ascoltare.
L’ascolto è la prima maniera di incontrare veramente l’altro. L’ascolto è l’ospitalità interiore che rende autentica l’ospitalità concreta e materiale.
Per incontrare Gesù, per metterci in rapporto con Lui, prima di ogni altra azione noi dobbiamo metterci in ascolto. L’ascolto è l’originale atteggiamento del credente, l’atteggiamento assolutamente decisivo per entrare in comunione con Gesù.

E’ proprio da questa consapevolezza che inizia la nostra riflessione sulla storia, una riflessione che vi offro per aiutarvi anche ad accoglierla in tre punti:
il primo: il nostro Dio è un Dio che parla;
il secondo punto: l’uomo è una creatura chiamata all’ascolto
terzo punto: la fede nasce dall’ascolto; la comunione con il Signore nasce dall’ascolto.
Percorriamo questo itinerario.
* Il nostro Dio è un Dio che parla. Tutte le Sante Scritture attestano che il nostro Dio è un Dio che parla perché si rivela anzitutto attraverso la sua Parola.
E in principio per creare l’universo Dio ha parlato. Disse: sia la luce e la luce fu. Ed è con la sua Parola che tutto fu creato. E’ con la sua Parola che tutto ancora oggi è sostenuto in vita. E’ con la parola che Dio ha chiamato anche Abramo, iniziando con lui a farsi conoscere, facendolo il padre dei credenti.
E’ con la Parola che Dio si è rivelato a Mosè parlandogli con una tale intimità che è stato scritto nella legge “bocca a bocca” parlò il Signore a Mosè. Il Signore parlava con Mosè faccia a faccia.
E il profeta è proprio colui sul quale cade la Parola del Signore. Tutti i libri profetici iniziano dicendo “In quel tempo la Parola di Dio fu rivolta, cadde su colui che era chiamato a fare il profeta. Proprio affinché il profeta parlasse a nome di Dio al popolo di Israele, la Parola di Dio cadeva su di lui, lo chiamava, lo costituiva profeta.
Ma certamente questo parlare di Dio è un parlare al cuore dell’uomo, è un operare nella storia della salvezza. E’ sempre un rivelarsi da parte di Dio per farsi conoscere dall’uomo.
L’autore della Lettera agli ebrei nel prologo, che vuole essere la sintesi di tutta la storia della salvezza, scrive: “Dio, colui che ha parlato nei tempi antichi ai nostri padri attraverso i profeti molte volte e in diversi m odi, in questi tempi che sono gli ultimi, ha parlato a noi attraverso il Figlio, Gesù Cristo”.
Il Figlio di Dio inviato nel mondo è la Parola stessa di Dio, è la Parola viva, eterna, generata dal Padre, è quella parola che si è fatta carne ed è venuta ad abitare in mezzo a noi. Gesù, il Figlio di Dio, nato da Maria è la parola di Dio. Anzi, il quarto Evangelo nel suo prologo dice che quell’Uomo, Gesù di Nazareth, ha narrato, ha spiegato Dio a noi con la sua vita e con la sua Parola.
Gesù è proprio colui che i discepoli hanno udito con gli orecchi, hanno visto con gli occhi, hanno contemplato e palpato con le mani. E questa esperienza ha permesso loro di definire Gesù parola di vita.
Il nostro Dio è un Dio che parla e che ha voluto inviare la sua parola a noi definitivamente nel Figlio fattosi uomo nella nostra storia.
Dio ha parlato da Abramo fino a Cristo rivolgendosi ai credenti, rendendoli testimoni di questa parola rivolta agli uomini per la loro salvezza. E quella Parola detta agli uomini è stata da loro testimoniata, è diventata Scrittura, è diventata Libro, anzi i libri per eccellenza: la Bibbia.
Ecco allora come Dio parla ancora, ancora a noi oggi. Parla ancora attraverso la sua Parola contenuta nella Bibbia, parla ancora negli eventi della storia, parla ancora attraverso la creazione, sua opera, parla ancora attraverso gli uomini suoi servi.
Ma il luogo in cui noi siamo certi che è presente la sua Parola in modo sacramentale ma eloquente al nostro cuore è la Santa Scrittura, è la Bibbia.
Noi camminiamo, dice l’apostolo Paolo, alla luce della fede, non della visione.
Nessuno di noi ha mai visto Dio, nessuno di noi lo può vedere prima di morire però noi abbiamo nel cuore la capacità di ascoltare la Parola di Dio, di accoglierla.
E così, attraverso questa Parola accolta nel cuore, noi possiamo incontrare il Signore vivente.
E non dimentichiamo che il nostro Dio, proprio perché è Parola “in principio” ma è Parola “oggi” e “sempre”, questo Dio sempre ci parla, sempre si rivela agli uomini, sempre si fa presente, sempre è in comunione con noi per attirarci nella sua comunione di vita e di amore.
Se a volte ci sembra che Dio non parli, se ci sembra che Dio è muto, stiamo attenti a non incolpare Dio dandogli il volto di un Dio perverso. Dio non smette mai la comunicazione con noi, non smette mai di parlare al nostro cuore. Siamo noi che non lo ascoltiamo, che siamo tentati piuttosto di non riconoscerci sordi, di imputare a lui un silenzio.
Stiamo attenti, a volte siamo tentati di dire, ma Dio non parla, mentre dovremmo dire: io sono sordo alla sua Parola, io non lo ascolto, perché il nostro Dio è un Dio nel quale – potremmo dire – c’è la Parola sempre generata.
Parola sempre rivolta verso Dio, dice il prologo del quarto Vangelo, Parola pronunciata dal Padre che è il Figlio sempre in ascolto del Padre.
Nel mistero di Dio coesistono Parola e ascolto sempre vivente perché la Parola è il Figlio generato dal Padre nel suo Santo soffio, Spirito Santo.
Questa è la comunione in Dio, questo è il dialogo in Dio.
* Secondo punto: l’uomo è un essere chiamato all’ascolto.
Di fronte a Dio, il Dio che parla sta l’uomo da Lui creato, sta la creatura di fronte al Creatore, ciascuno di noi nella nostra debolezza, nella nostra fragilità, eppure creati da Dio a sua immagine e somiglianza, e proprio perché a immagine e somiglianza di Dio capaci di ascoltarlo e capaci di parlare a Dio.
Se in Dio si può dire con il prologo di Giovanni “in principio era la Parola” riguardo all’uomo si potrebbe dire che “in principio sta l’ascolto”.
Voi lo sapete anche se sovente questa consapevolezza qualche volta sembra perduta, l’uomo parla perché gli è possibile l’ascolto, anzi l’uomo parla perché si è esercitato nell’ascolto.
E non a caso i sordi, quelli che sono impediti nell’ascolto non sono capaci di parlare. Per secoli li abbiamo chiamati sordomuti mentre in realtà erano solo sordi e quindi non erano in grado, proprio per mancanza di ascolto di articolare la parola, di accendere il linguaggio della comunicazione.
Noi ascoltiamo molto tempo prima di essere capaci a parlare. E oggi le scienze umane ci rivelano che noi ascoltiamo già nella vita intrauterina, nel grembo della madre.
Ascoltare è la prima dimensione di comunicazione inscritta in noi radicalmente prima ancora della nostra nascita.
Quando noi veniamo al mondo impariamo ad ascoltare il mondo. Ascoltando nostra madre, nostro padre, quelli che ci stanno accanto noi conosciamo la differenza dell’ascolto e così siamo strutturati nella nostra capacità di comunicazione.
Proviamo a pensare il nostro corpo, corpo umano. Noi possiamo inventariare degli orifizi, dei buchi, delle aperture con le quali noi comunichiamo.
Gli occhi sono un’apertura: li chiamiamo finestre. E gli occhi servono per vedere.
Abbiamo un naso con delle aperture che servono a sentire.
Abbiano la bocca, l’apertura con la quale noi innanzitutto riceviamo il cibo, mangiamo, respiriamo e con la quale poi impariamo a parlare.
Abbiamo delle zone genitali segnate da apertura con le quali noi comunichiamo nella trasmissione della vita.
E così via. Queste aperture che noi possediamo nel nostro corpo sono tutti organi di comunicazione ed è significativo che si aprano e si chiudano normalmente a un nostro comando.
Ma tra queste aperture c’è un organo sempre in esercizio, immobile ma che resta sempre in funzione, sempre aperto. E’ l’orecchio.
Noi chiudiamo gli occhi per dormire, chiudiamo la bocca, gli altri orifizi, ma le orecchie no, sono sempre in funzione, sono sempre tese all’ascolto, hanno addirittura la forma che indica una passiva apertura, sembrano fatte per accogliere. Sì, accolgono le onde sonore, sono capaci di sentire un suono che giunge al nostro orecchio anche quando noi dormiamo, siamo nel sonno.
E i rabbini che meditavano su questo su questo dicevano: attenzione, Dio ci ha dato una bocca per parlare, ma due orecchie per ascoltare, perché si dovrebbe almeno ascoltare il doppio di quanto si parla.
L’ascolto è importante, è decisivo perché mi permette di cogliere come io sto rispetto all’altro che mi parla, tanto è vero che quelli che sono colpiti magari nell’anzianità all’udito dicono che è una delle esperienze più difficili e più capaci di dare sofferenza a chi la vive. Molti arrivano a dire: sarebbe meglio essere ciechi piuttosto che essere sordi, perché la comprensione e la comunicazione sono altamente menomate.
Ascoltare è essere qui, è esistere per, è sentirsi per l’altro. E tutta la vita di un uomo, di una donna è segnata dalla sua capacità, dal suo esercizio ad ascoltare.
La stessa qualità umana di una persona, la sua ricchezza umana dipende dalla sua capacità di ascolto. Non basta soltanto udire ciò che l’altro dice, occorre attraverso il sentire accogliere, comprendere la comunicazione che l’altro fa di se stesso. E allora si ascolta.
L’ascolto è una accoglienza, è la comprensione di ciò che viene detto. E l’ascolto è un’arte difficile che richiede l’impegno di tutta la persona, richiede pazienza, perseveranza, richiede di imparare a discernere non solo ciò che si ascolta, ma come l’altro parla e, attraverso quello conoscere chi è colui che parla.
Ho parlato dell’ascolto inerente al rapporto tra uomo e uomo, io-tu, inerente al rapporto uomo e l’altro uomo, io-esso, ma l’ascolto riguarda anche il nostro rapporto con Dio.
Siccome il nostro Dio è un Dio che parla ognuno di noi deve imparare a mettersi in ascolto di Dio. E questa non è un’operazione naturale, facile. E’ qualcosa che normalmente si dovrebbe imparare fin da piccolo perché fa parte della comprensione della fede, perché imparare ad ascoltare l’altro è una operazione difficile da cui dipende la maturità e la pienezza umana di una persona.
Ma la parola dell’altro è soprattutto una parola sonora, giunge a noi con un suono, una lingua.
Ma la Parola di Dio non è sonora, giunge a noi nel profondo del cuore. Ascoltarla, discernerla, riconoscerla è operazione difficile.
So che non è facile parlare di questa esperienza dell’ascolto di Dio da parte dell’uomo eppure tutti i credenti da Abramo fino a noi si sono espressi in questi termini: ho ascoltato una parola da parte di Dio, Dio mi parla e per questo lo sento vivente e presente nella mia vita.
Dio mi dona le sue parole e per questo prego, mi affido a Lui.
L’uomo è una creatura chiamata innanzitutto ad ascoltare la Parola di Dio.
Proprio per vivere l’uomo ha bisogno della comunione di vita con Dio. E questo è possibile se l’uomo ascolta il Signore.
Ecco perché il credente, Israele, è sempre uno chiamato da Dio non certo a vedere, ma ad ascoltare.
E il popolo di Dio è sempre stato chiamato nell’Antico e nel NT, popolo dell’ascolto.
Nel Deuteronomio si mette in bocca a Mosè questa meravigliosa riflessione “Interroga i tempi antichi che furono prima di te, dal giorno in cui Dio creò l’uomo sulla terra fino ad oggi, interroga da una estremità all’altra del cielo: c’è stata una cosa così grande come questa? Si è sentita una cosa simile?
C’è stato un popolo che ha ascoltato la voce di Dio che parla come tu l’hai ascoltata?”. Mosè dice che la cosa più grande è un Dio che parla e un popolo che ascolta.
Israele è stato il popolo chiamato ad ascoltare: questo è il mistero della elezione, ma questa è la vocazione permanente del credente.
E il nuovo popolo di Dio, quello radunato da Cristo non a caso è stato chiamato fin dall’inizio “ecclesìa”, popolo chiamato ad ascoltare, assemblea.
Non dovremmo mai dimenticare che la preghiera di Israele e quella di Gesù è stata lo Shemà, preghiera detta due volte al giorno dal credente ebreo al mattino e alla sera. Questa preghiera è un invito all’ascolto: Shemà Israel, Adonay Elohenu, Adonay Echad, ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno.
Questo è il comando più importante tra tutti i comandi riferito più volte nella legge di Mosè: Ascolta Israele.
Quante volte questo comando è ripetuto!
Ascolta: credo che forse vi siate posta una domanda: perché poche volte è chiesto nell’AT e nel Nuovo il luogo di pregare il Signore, ma molte volte è chiesto di ascoltarlo?
E la prima cosa nella preghiera che il Signore chiede a noi è l’ascolto di Lui, della sua Parola.
il profeta Geremia rilegge così i comandi dati da Dio a Israele. Geremia parla a nome di Dio: Io non ti ho dato né comandi né ordini, di fare offerte e sacrifici quando siete usciti dall’Egitto, ma vi ho dato soltanto questo comando: “ascoltate la mia voce”.
E così tutti i profeti hanno ripetuto che ascoltare la Parola di Dio è meglio che fare sacrifici.
Il rapporto tra il nostro Dio e il popolo credente non riposa sul fragile fondamento di una iniziativa umana – fare un sacrificio, fare un’offerta, dire delle parole a Dio – ma riposa sulla iniziativa di Dio che parla e dunque chiede ascolto.
Se Israele ascolta la Parola del Signore, il Signore sarà il suo Dio e Israele sarà il suo popolo.
E l’alleanza tra Dio e il popolo avviene quando il popolo promette a Dio “tutte le parole che il Signore ha detto le eseguiremo e le ascolteremo” (Es. 24,7), dive l’ascolto diventa addirittura esecuzione, obbedienza, mettere in pratica.

* Terzo punto: dall’ascolto, alla fede, all’amore.
E’ significativo che il comando ripetuto dall’ebreo come preghiera al mattino e alla sera sia l’ “ascolta Israele”, lo Shemà Israel, dove si proclama che il Signore è nostro Dio, il Signore è uno.
Chi ascolta conosce il Signore, conosce il Dio vivente e vero, il Dio che è il Signore uno e unico.
All’interno dello Shemà Israel dire “ascolta Israele: il Signore è nostro Dio, il Signore è uno significa dire che la fede nel Dio unico è frutto dell’ascolto.
Chi ascolta il Signore confessa un Dio unico e per lui non ci sono altri dei. Questa è una conoscenza di Dio che può nascere solo dall’ascolto della sua Parola e questa conoscenza non è di ordine intellettuale, è penetrativa, esperienziale, dinamica, mai esauribile.
E da essa, continua lo Shemà dipende allora la risposta dell’uomo a Dio: Tu amerai il Signore con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutte le tue azioni”.
Dall’ascolto alla conoscenza, alla fede, all’amereai, l’amore.
Noi possiamo allora comprendere perché l’ascolto è davvero decisivo per essere dei credenti.
E l’apostolo Paolo ha insistito: la fede cristiana nasce solo dall’ascolto: Fides ex auditu.
Noi possiamo cercare Dio in mille modi, ma se poi Dio non si rivela, se Dio non si fa conoscere noi restiamo degli u0omini religiosi ma incapaci di comunione con Lui. La fede è sempre un dono di Dio perché nasce dall’ascolto di Lui che ci parla e dipende dalla sua iniziativa parlare.
Non dovremmo mai dimenticarlo: la preghiera cristiana è innanzitutto ascolto. E se a volte la nostra preghiera è sterile, se la nostra preghiera sovente non ci pare esaudita è perché non è una preghiera autenticamente cristiana.
La preghiera cristiana è innanzitutto ascolto, ascolto della Parola di Dio, ascolto di Gesù Cristo, il Figlio che è la Parola del Padre.
Al cuore dei Vangeli, nell’ora della trasfigurazione di Gesù sul monte, nella manifestazione della sua gloria la voce del Padre venuta dal cielo lo ha chiamato “Figlio amato” e ha dato il comando definitivo “Questo è il mio Figlio, l’amato, ascoltatelo, ascoltatelo”.
L’ebreo è invitato con lo Shemà ad ascoltare Dio. Questo comando vale ancora per noi, ma l’ascolto di Dio è soprattutto per noi ascolto di Cristo, perché Dio in Cristo ha parlato definitivamente.
Ma anche Gesù, se voi leggete i Vangeli, quante volte nella sua predicazione ha gridato alle folle “ascoltate”, ha invitato all’ascolto con quelle parole che indicano urgenza “chi ha orecchi per ascoltare, ascolti” e soprattutto la prima beatitudine l’ha rivolta a quelli che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica: “Beato chi ascolta la Parola di Dio e la mette in pratica”.

Ecco, dopo questo itinerario comprendiamo meglio la pagina del Vangelo di Luca letta all’inizio: Maria ha scelto la parte buona, perché nell’incontrare il Signore si è messa innanzitutto al suo ascolto, ai suoi piedi come una discepola.
Quando noi pensiamo alla preghiera siamo tentati di pensare ad essa come a un parlare a Dio e siamo tentati di parlargli moltiplicando le parole convinti di essere esauditi. Ma la preghiera cristiana non è questo. Gesù ci ha messo in guardia: non moltiplicate le parole per pregare. E la preghiera cristiana è veramente anche un parlare a Dio quando è preceduta da un ascolto perché solo quando di ascolta Dio si può dialogare con Lui.
Sovente ha l’impressione che noi non facciamo come il giovane Samuele che ha pregato: parla Signore, che il tuo servo ti ascolta”. Nella vita cristiana la forma primaria della preghiera è l’ascolto.

E a conclusione di questa mia riflessione vi ricordo una straordinaria pagina dell’AT che trovate nel I Libro dei Re al capitolo 3. Salomone è appena stato proclamato re dopo la morte di Davide, suo Padre. E’ giovanissimo. Nulla lascia prevedere la gloria che Salomone avrà soprattutto a causa della sua sapienza. Ebbene, per questa intronizzazione a re di Salomone si offrono dei sacrifici di ringraziamento a Dio sul monte Gabaon.
Ma il Signore appare in sogno a Salomone e gli dice: chiedi ciò che vuoi che io ti conceda.
Pensate se Dio ci apparisse e a ciascuno di noi ci facesse questa offerta: chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda.
Salomone può chiedere molto. L’offerta di Dio è straordinaria. Il re potrebbe chiedere la disfatta di tutti i nemici, la vittoria nelle guerre, una vita lunga, una salute straordinaria. Ma Salomone chiede in una preghiera che fa subito a Dio: “Signore, concedi al tuo servo un “lev shomea” – permettetemi di dirvelo in ebraico anche perché la Bibbia Cei che voi avete a casa in realtà traduce molto male e non si capisce bene.
Lev in ebraico significa cuore,
shomea è il participio presente del verbo shammà, da cui shemà Israel, ascoltare.
Salomone dice: “concedi al tuo servo, Signore, un cuore che ascolta”.
E il testo continua: Piacque molto al Signore che Salomone avesse fatto questa domanda. E Dio gli diede un cuore capace di intelligenza e di discernimento.

Ognuno di noi dovrebbe fare questa preghiera al Signore: chiedere un cuore che sappia ascoltare, come Maria ai piedi di Gesù che ha scelto la parte migliore.
Ma vorrei almeno ricordare che quando uno ha davvero un cuore che sa ascoltare non ascolta soltanto Dio ma sa ascoltare anche chi gli sta accanto.
E se siamo sinceri la maggior parte delle sofferenze che viviamo nel quotidiano e che viviamo soprattutto negli spazi della nostra vita quotidiana ( la famiglia, quelli che noi incontriamo) dipendono dal fatto o che noi non siamo ascoltati o che noi non ascoltiamo. Se c’è una fonte di dolore quotidiana nella nostra vita è non essere ascoltati e non ascoltare.
Purtroppo di questo a volte ci accordiamo troppo tardi quando ormai la natura dell’inimicizia (?), la separazione è avvenuta. All’origine non c’è stato un ascolto.
Avere un cuore che sappia ascoltare significa ascoltare l’altro, il prossimo che ci vive accanto, quelli che vivono con noi, il fratello.
Che significa ascoltare Dio? Chi non sa ascoltare il fratello che vede non sa ascoltare Dio che non vede. Possiamo dire questo parafrasando l’apostolo Giovanni.
E allora chiedere un cuore che ascolta, esercitarci all’ascolto significa esercitarci ad essere uomini e donne di comunione con gli altri e con Dio.
La nostra preghiera che è sempre comunione nasce proprio dall’ascolto.

2 – LA MEDITAZIONE

Preghiamo: Signore nostro Dio ispira al nostro cuore l’amore per meditare la tua volontà affinché l’ascolto della tua parola santa ci porti vita, gioia e pace. Aiutaci a meditare su di essa giorno e notte e saremo in comunione con te benedetto nei secoli dei secoli. Amen.

Fratelli e sorelle carissimi, anche questa sera abbiamo obbedito alla Parola del Signore che ci chiede ascolto, soprattutto in questo cammino quaresimale e siamo qui per rinnovare la nostra comunione con il Signore.
E proprio il Dio che ci parla vuole che stiamo davanti a Lui con tutta la nostra vita, con il nostro stare nel mondo, nella storia, nella compagnia degli uomini che Lui vuole tutti salvare.
Per questo in questa veglia noi non dimentichiamo di vivere un’ora di guerra, un’ora in cui il male ha la sua epifania e mostra tutta la sua capacità apportatrice di morte, un’ora in cui il principe di questo mondo, il divisore, segna distruzione, sofferenza soprattutto tra i poveri anonimi, innocenti che non riescono a comprendere il perché di questa barbarie.
Noi preghiamo, ed è la prima volta che succede nella storia, insieme anche se ancora separati in Chiese diverse, ma questa volta insieme cattolici, ortodossi, protestanti, abbiamo voluto dire e testimoniato una parola di pace.
E soprattutto Giovanni Paolo II con audacia profetica ha ammonito i potenti e ricordato loro che devono assumersi la loro responsabilità anche davanti a Dio, il giudice della storia.
Certo noi riconosciamo la nostra impotenza, diventiamo più consapevoli che come assicura il Salmo 85 il Signore parla di pace al suo popolo, ai credenti tutti.
E diventiamo consapevoli che sono gli uomini idolatri che preferiscono l’inimicizia, la violenza, la guerra pur di mantenere i privilegi che la loro idolatria assicura loro a scapito dei poveri della terra.
Davanti al Signore dunque ripetiamo questa sera la nostra ansia, la nostra sofferenza, ma soprattutto vogliamo ripresentare al Signore le vittime di questa guerra, e chiediamo al Signore innanzitutto di farci ritornare a Lui, di convertirci facendo di noi dei figli della pace come amava chiamare Gesù i suoi discepoli.
Noi siamo i discepoli di Gesù, Colui che è la nostra pace, Colui che è venuto a portare la pace, la pace vera, non quella che il mondo dice di voler instaurare facendo guerra.
E siamo figli di pace nella nostra vita quotidiana, nella famiglia, dove viviamo e lavoriamo tra gli uomini, allora saremo come ci ha chiamati ad essere il successore di Pietro “sentinelle della pace”, uomini e donne che vegliano per la pace, annunciano la pace, custodiscono la pace.
Noi questa sera sosteremo su una altra forma della preghiera cristiana, dopo la forma dell’ascolto sosteremo sulla meditazione, ma nella intercessione finale torneremo a pregare per la pace.

Predisponiamoci adesso con la preghiera di un Salmo e l’ascolto della Parola.

Ascoltiamo la Parola dal Vangelo secondo Luca (2,41-51)
“I genitori di Gesù si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l’usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero le sue parole.
Partì dunque con loro e tornò a Nazareth e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore.”

Al Vangelo,la narrazione di come Gesù ha predicato la buona notizia dai giorni del Battesimo di Giovanni fino alla sua Morte e Resurrezione,Luca ha premesso dei racconti riguardanti la nascita e l’infanzia di Gesù.
I commentatori della Scrittura chiamano questi racconti preistoria del Messia nel senso che sono degli eventi umani, umanissimi ma che contengono dei segni riguardanti la missione di Gesù. Segni che riguardano la manifestazione di Gesù quando attraverso il suo ministero di predicazione e di guarigione si mostrò il profeta del Regno di Dio, il Messia.
E’ molto significativo perciò che questi eventi della infanzia di Gesù siano raccontati come fatti umani e quotidiani, ma che nell’intenzione di Luca richiedono di essere conservati nel ricordo, meditati, pensati nel cuore perché un giorno proprio dalla vita di Gesù saranno rischiarati, svelati nel loro significato.
Ecco perché Luca ama annotare un atteggiamento di Maria, la Madre di Gesù, questa donna capace di fede e di obbedienza, questa donna di cui i Vangeli ci parlano perché sia figura esemplare per tutti i credenti.
Alla nascita di Gesù a Betlemme dei pastori avvertiti dai messaggeri di Dio accorrono a vedere il segno che è stato annunciato a loro. Trovano un bambino avvolto in fasce giacente in una mangiatoia. E questi pastori dicono, attestano ciò che di questo bambino era stato detto loro dai messaggeri di Dio. C’è meraviglia allora, c’è stupore per quel bambino nato.
E Luca scrive “Maria da parte sua custodiva con cura tutte queste parole interpretandole, meditandole nel suo cuore”.
Maria, viene detto da Luca, compie una azione di raccolta di quelle parole.
Permettetemi di dirvi il verbo greco ….. raccoglie insieme queste parole, ma poi anche le medita, le collega, le confronta fino a pervenire alla interpretazione chiara e giusta dell’evento.
E attenzione, c’è anche un contrasto in questa annotazione di Luca. Ci sono degli ascoltatori che restano a livello di stupore, meraviglia. Sono stupiti per quel che si diceva di quel bambino, ma quella reazione resta superficiale,insufficiente a penetrare nel mistero, nella vera conoscenza dell’evento di Gesù. Ma Maria invece perseverando nell’ascolto conserva, ricorda, mantiene vive le parole e gli eventi vissuti e quindi interpreta, conservando e accrescendo la sua fede.
Maria appare per Luca fin la quel momento la figura della Chiesa che interpreta dopo la Pasqua l’intera vita di Gesù. E non a caso, sempre secondo Luca, Maria sarà ancora presente nella camera alta in Gerusalemme con i dodici discepoli che, perseveranti nella preghiera, attendevano il dono promesso dal Padre, la Pentecoste.
Anche alla fine della pagina della presentazione di Gesù al Tempio, Luca ripete “Maria conservava tutte queste cose in cuor suo”, dove qui il verbo …….. indica un dialogo interiore. Maria conserva quelle parole ma in un dialogo interiore cercando di approfondirle, di comprenderle sempre di più.
Leggiamo però almeno rapidamente questa pagina: Gesù è stato portato al Tempio per diventare come tutti gli ebrei figlio del comandamento. E’ salito al Tempio per compiere la cerimonia del Barmitzvà, ma nel ritorno Maria e Giuseppe si accorgono che Gesù non è con loro nella carovana.
Ritornano a Gerusalemme a cercarlo e, dopo tre giorni, lo trovano nel Tempio, in mezzo ai dottori intento ad ascoltarli e ad interrogarli. E tutti quelli che lo ascoltavano restavano anche meravigliati della sua intelligenza e delle sue risposte.
E’ la prima volta che ci viene presentato Gesù soggetto di una azione, soggetto di parole.
Finora era nient’altro che un infante e non ha mai detto parole.
Altri han detto parole su di lui, ma appena Gesù è un credente con una soggettività di Figlio di Israele, ecco che Gesù sta al Tempio, sta tra quelli che erano i maestri, i sapienti della legge, quelli che avevano il compito di interpretare la Parola di Dio contenuta nelle Sante Scritture.
Gesù ci viene così presentato nel suo primo atto di credente, un uomo interessato, assiduo all’ascolto della Parola, teso a imparare e a leggere la Scrittura, impegnato ad approfondirla. Gesù è in ascolto dei maestri – dice Luca – e quindi li ascolta e pone loro delle domande. Poi anche questi maestri pongono delle domande a Gesù e Gesù vi risponde.

La parola di Dio certamente si ascolta nella lettura delle Sante Scritture, ma occorre poi anche impararla, approfondirla, interpretarla con domande e risposte, con un confronto soprattutto con i maestri.
Maria e Giuseppe trovano Gesù impegnato tra i rabbini, assiduo all’ascolto e alla meditazione e Maria lo rimprovera aspramente: “Perché ci hai fatto questo?” E gli dice: “Io e tuo padre ansiosi e addolorati ti cercavamo”.
Ma Gesù risponde: “Perché mi cercavate? Non sapete che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”.
Notate: Maria dice a Gesù “io e tuo padre Giuseppe ti cercavamo”. Gesù risponde “Ma io devo occuparmi qui nel Tempio delle cose di mio Padre, devo occuparmi delle Parole di mio Padre, la Parola di Dio. E me ne occupo qui, nel Tempio, ascoltandola, meditandola con i maestri di Israele”.
E Luca annota: “Maria e Giuseppe non compresero che cosa aveva detto loro”, non comprendono che Gesù ormai dice: ma il mio Padre vero è Dio e io devo stare presso di Lui, devo essere assiduo alla sua Parola.

E la contengono perché sono scritte da uomini ma ispirate dalla Spirito Santo. La Scrittura dunque è il sacramento, il segno visibile in cui la Parola di Dio si comunica all’uomo. Parola divina in parole umane la Bibbia non è immediata Parola di Dio ma la contiene.
E dunque attraverso la lettura della Bibbia è possibile ottenere una sapienza che porta alla salvezza – dice Paolo a Timoteo – è possibile giungere alla fede e così avere la vita eterna.
Dice Giovanni alla chiusura del suo Vangelo: solo credendo alle Sante Scritture è possibile conoscere Gesù Cristo e credere in Lui.
Ascoltare, accogliere la legge e i profeti, cioè la Parola di Dio testimoniata nell’AT è essenziale per credere a Gesù Cristo, Verbo incarnato, morto e risorto e questi eventi, noi diciamo nel Credo, sono veri e sono stati testimoniati dalle Scritture.
Ricordate la professione di fede? “per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, fu crocifisso, morì e fu sepolto, secondo le Scritture”: ecco perché noi cristiani crediamo che la Bibbia contiene la Parola di Dio. Ecco perché noi la veneriamo come lo stesso Corpo del Signore, ricordava il Concilio, e per questo ci nutriamo del Pane di vita.
Un pane che non solo è presente nell’Eucaristia ma anche sulla tavola della Parola.
E sempre il Concilio ci ha ricordato questo.
Diventa allora evidente che noi cristiani non dobbiamo confondere il testo biblico con la Parola, ciò che sta scritto con l’intelligenza dello Spirito.
Per ascoltare Dio che parla nelle Sante Scritture, nella Bibbia occorre una operazione umana di attenzione e di intelligenza ma anche un’operazione spirituale in cui lo Spirito Santo agisca in forza divina, apra la nostra mente alla intelligenza delle Scritture come ha fatto Gesù con i due discepoli sulla via di Emmaus.
L’intelligenza umana, le facoltà umane, le capacità che noi possediamo devono assolutamente intervenire per ritrovare la Parola di Dio nella Bibbia, per leggere la Bibbia ascoltando la Parola.
Ma deve intervenire anche lo Spirito Santo: Lui solo può rendere Parola di Dio queste parole umane.
Ecco perché è necessario nella vita del cristiano quella assiduità alla Scrittura, quella attività nei confronti della Scrittura che è stata chiamata meditazione.

Secondo punto: occorre dunque saper leggere le Scritture e meditarle avendo fede che la Bibbia contiene la Parola di Dio a noi è chiesto di leggerla, di essere assidui alla Parola.
Innanzitutto leggerla. E’ l’atto di aprire il libro, un atto di piena consapevolezza per cercare la Parola di Dio. Ad ogni credente Dio dice: prendi il libro, apri, leggi.
Purtroppo per varie ragioni e per molti secoli i cristiani hanno dimenticato almeno in parte ciò che stava scritto. Stava scritto che la legge doveva essere letta davanti a tutto il popolo, agli orecchi di tutti.
Stava scritto nei Vangeli che Gesù sovente si rivolge ai suoi interlocutori dicendo “ma non avete letto nelle Scritture? Non avete letto nella legge?”. E all’inizio dell’Apocalisse non sta forse scritto “beato chi legge e beati quelli che ascoltano”?
Leggere è una operazione assolutamente necessaria nel popolo dei credenti, l’assemblea del Signore, nella Chiesa.
Ogni cristiano deve imparare questo atto: esercitarsi in esso perché la Bibbia è il libro di tutto il popolo di Dio non il libro di alcuni credenti.
E anche per il cristiano risuonano le Parole di Dio dette al credente “non allontanare dalla tua bocca il libro della Parola, ma meditala giorno e notte”.
Leggere con attenzione, adagio, cercando di accogliere le parole nel cuore, imparare a trattenerle, a renderle familiari, leggere e rileggere fino a fare quel esercizio che i nostri padri spirituali chiamavano la “ruminatio”.
Ripetere la parola, quasi masticarla, dirla a voce sonora.
Era questo un metodo di memoria muscolare estremamente importante soprattutto per la memorizzazione della Parola.
Qualcuno dirà: ma quando non si sapeva leggere? Quando non si sapeva leggere c’era però la memorizzazione della Parola.
In Egitto non si dava il battesimo a chi non conosceva i quattro Vangeli a memoria. Questa era la Chiesa del terzo-quarto secolo. E normalmente un cristiano conosceva i quattro Vangeli e conosceva tutto il Salterio perché non c’erano i libri, e come si sarebbe potuto pregare insieme in una assemblea come questa?
Insomma leggere ha come fine conoscere la Scrittura.
Ecco perché una lettura della Scrittura che noi oggi possiamo fare deve tendere soprattutto alla assiduità, alla meditazione, a quella azione che abbiamo visto fare da Maria: su quegli eventi in cui era coinvolta e su quelle parole che le venivano dette circa l’infanzia di Gesù.
Meditare significa dunque cercare di approfondire il testo: fermarci su quanto abbiamo letto, pensarlo applicando soprattutto un principio: che la Santa Scrittura è interprete di se stessa. Si tratta cioè di interpretare la Bibbia con la Bibbia.
Chi conosce la Bibbia, chi la legge con assiduità presto si accorge che ci sono tanti testi che si richiamano, si completano, si arricchiscono di significato l’un l’altro.
Ci sono esempi nell’AT che sembrano riproporsi nel NT in una pienezza di realizzazione, eventi che sembrano l’uno derivare dagli altri.
La Bibbia è questo intrecciarsi di fili, un tessuto che ovunque vuole testimoniare l’azione, l’amore di Dio per l’umanità.
Ecco allora come il meditare, il pensare sui testi della Scrittura sia necessario in vista di una maggior conoscenza di Dio.
Impegnarsi ad ascoltare e a comprendere la Scrittura significa impegnarsi nella conoscenza di Dio e di Cristo.
Ma proprio qui nascono delle tentazioni che vanno combattute e respinte.
* La prima tentazione è quella di voler trovare la Parola di Dio direttamente dalla lettura, senza una azione di meditare, senza lo sforzo dio andare al di là della scorza dura dello scritto.
Tentazione questa che fa leggere la Bibbia in modo fondamentalista, magari con la giustificazione che la Scrittura è Parola di Dio. Soprattutto quando c’è una fede incerta, debole, incerta di certezze facili allora si può essere tentati da questa strada, ma il risultato è lo stravolgimento della parola di Dio.
Una parola tolta dal suo contesto, non confrontata con altre parole della Bibbia che la richiamano, può essere brandita come una spada e ritenuta Parola di Dio sovente contro gli altri.
Pensate a questo uso della Bibbia da parte di molte sette che bussano anche alla nostra porta e che leggono la Bibbia in questa maniera fondamentalista. La Bibbia dice: questa è Parola di Dio, senza lo sforzo di andare in profondità e leggerla nella vita della Chiesa.
* Però c’ è anche un’altra tentazione, quella che pensa di trovare la Parola di Dio nella Scrittura senza tener conto di ciò che è scritto, senza accogliere l’umanità della Parola. Tutto ciò che dice la Bibbia viene in questo caso spiritualizzato, viene evitata la fatica di assumere la parola umana. Ci si scandalizza di fronte a una parola debole, fragile, sottoposta al limite. E si vuole subito spiritualizzare la Parola. Anche questa è una tentazione. La tentazione che fa dire alla parola ciò che vogliamo noi secondo le nostre proiezioni e soprattutto i nostri sentimenti. Anche questo è stravolgere la Parola di Dio.
* E c’è infine una terza tentazione: leggere la Bibbia con la sola curiosità della conoscenza. E quindi arrestarsi all’uso delle varie scienze umane attraverso le quali si interpreta la Scrittura. E’ la tentazione della lettura intellettualistica in cui si ha il desiderio di conoscenza, curiosità, ma non si vuol giungere all’ascolto del Dio vivente, soprattutto non si arriva a mettere in pratica ciò che il Signore chiede.
La lettura della Bibbia, la meditazione della Bibbia è operazione semplice ma non facile. Richiede un itinerario umano da praticare proporzionale ai doni e alle capacità possedute. Ma richiede soprattutto la docilità allo Spirito Santo. Gesù ha invitato a scrutare lo Scritture per avere in esse la vita eterna, dice il quarto Vangelo.
E questa meditazione del credente è dunque necessaria, ma deve essere fatta nell’umiltà, nella povertà, nella volontà di una obbedienza puntuale.
Allora si trova nelle Scritture la Parola di Dio di cui l’uomo vive.
L’esito della meditazione dovrebbe essere ascoltare Dio che parla al cuore, che parla nel profondo con un messaggio personalissimo di conversione, di consolazione, di salvezza.
Generazioni di cristiani sono vissute della Parola di Dio meditata, non dimentichiamolo.

E infine, terzo momento: dalla meditazione alla preghiera. Se un cristiano si impegna nel meditare la Parola contenuta nella Bibbia qual cristiano impara anche a meditare gli eventi, la storia,là dove Dio parla ancora.
Proprio quella Parola di Dio ascoltata e scoperta nelle Sante Scritture fornisce al cristiano quel senso della fede che diventa discernimento quotidiano anche degli eventi della vita.
Solo chi sa ascoltare la Parola del Signore che proclama beati i poveri saprà poi vivere la beatitudine nel quotidiano e discernere i poveri.
Solo chi è ammaestrato dalla Scrittura sui piccoli, sugli ultimi, sulle vittime sa rispondere al loro grido che si leva nella storia.
Ma proprio perché la Parola accolta plasma il cuore del credente, lo induce ad assumere gli stessi pensieri, sentimenti di Cristo, allora ispira anche la preghiera.
La meditazione della Parola di Dio non si ferma solo ad un approfondimento della conoscenza, ispira anche il dialogo con Dio, forgia le risposte alla Parola di Dio dunque si trasforma in preghiera.
Dopo aver ascoltato il Signore, meditata la sua parola il cristiano è abilitato a parlargli. E ciò che lui ha meditato nel cuore può emergere davanti al Signore in desiderio, impegno, decisione, sofferenza, gioia.
La parola di Dio meditata spinge alla preghiera, ma non a una preghiera qualsiasi ma a quella che Dio vuole ed accoglie.
E’ così che si da del tu a Dio, che si parla a Dio cuore a cuore.
E’ così che la meditazione diventa relazione personale con il Signore. Ciò che conta a un certo punto è l’attenzione, la presenza del Signore, l’essere consapevoli che si ama il Signore senza averlo visto e che con lui si vive una vera comunione.
Ciò che si è vissuto nella meditazione diventa l’ambiente del nostro dialogo con il Signore, preghiera che è adorazione, preghiera che a volte diventa lode, a volte intercessione per quanto la pagina biblica meditata ha evocato o ci ha fatto ricordare,fino alla contemplazione che non è qualcosa riservato a dei super cristiani, ma a tutti i cristiani perché la contemplazione è soltanto vedere tutte le cose, tutti gli eventi, tutti gli uomini come li vede Dio.
Contemplare significa soltanto vedere con gli occhi di Dio.

Quel che vi ho proposto questa sera è una preghiera ispirata, testimoniata nelle Scritture, praticata dagli ebrei, praticata dai cristiani e che di generazione in generazione è giunta fino a noi.
Non ho voluto dire il nome finora, ma voi l’avete capito. Il suo nome è lectio divina.
Soprattutto voi in questa Chiesa di Milano per decenni siete stati iniziati a questo tipo di preghiera dal Card. Martini che di questo metodo di preghiera è stato un vero maestro per tutta la Chiesa.
Questo metodo di preghiera: lettura, meditazione, orazione può sembrare un metodo di preghiera difficile. Qualcuno la giudicherà colto, riservato ad alcuni. No, è il metodo di preghiera cristiana più eccellente nella vita della Chiesa.
Giovanni Paolo II nella Lettera scritta due anni fa, la Novo millenio ineunte – è un po’ il suon testamento – è arrivato a chiedere che tutti i cristiani pratichino questo metodo di preghiera ogni giorno.
Vi leggo le sue parole al paragrafo 39 “occorre, carissimi fratelli e sorelle, occorre in particolare che l’ascolto della Parola diventi l’incontro vitale con Cristo Gesù nella antica e sempre validissima tradizione della lectio divina. Questo metodo di preghiera fa cogliere nelle Sacre Scritture la Parola viva che interpella, orienta, plasma l’esistenza del cristiano”.
Ecco noi tutti facciamo ascolto della Parola nella liturgia, facciamo ascolto della Parola nella predicazione che ci viene offerta nella Chiesa, ma dobbiamo anche imparare questo contatto diretto con la Parola di Dio contenuta nella Bibbia attraverso questa lettura, questa meditazione, questa orazione ogni giorno. Ogni giorno è possibile.
Mi si permetta di essere estremamente elementare, ma anche chiaro: un brano di Vangelo, da titolo a titolo, alcuni versetti. Leggerlo adagio, con attenzione, leggerlo magari più volte a seconda delle capacità di concentrazione e di ascolto che uno ha.
E poi quel brano pensarlo, meditarlo alcuni momenti, cercare se c’è un altro brano che magari ce lo illumina di più.
Se ci da più cibo per la nostra vita di fede e sostare alcuni minuti. Chiediamoci che cosa quel brano ci chiede come Parola del Signore detta a ciascuno di noi.
Fatto questo chiedere al Signore nella preghiera ciò che quel brano ci ispira o attraverso i suoi protagonisti che ci ricordano tante situazioni che viviamo o attraverso le esigenze chela Parola di Dio manifesta.
Fare questo è una operazione semplice, è una operazione che sta in venti minuti, mezz’ora – ma che messa all’inizio della nostra giornata illumina tutto il nostro agire, il nostro vivere con la luce del Vangelo.
Ripeto, generazioni di cristiani l’hanno fatta e l’han praticata in tempi in cui non c’erano né i libri né le Bibbie disponibili personalmente.
Possiamo noi oggi che viviamo con questa grazia di poter accedere quotidianamente alla parola di Dio contenuta nella Bibbia, almeno provare a trovare la Parola di Dio nei quattro Vangeli.
Poi se siamo muniti di doni e competenze anche altre pagine della Bibbia.
Ma il Vangelo è una parola più che sufficiente perché noi conosciamo la salvezza che ci viene dal Signore.3 – LA LODE

Sorelle e fratelli, per vivere questo tempo forte della Quaresima anche questa sera siamo l’assemblea in ascolto del Signore. Come Israele nel deserto avanziamo nel cammino di conversione al Signore con l’orecchio attento all’ascolto della sua Parola, ma anche a prove, situazioni di sofferenze, situazioni di lotte, situazioni di guerra. Per questo non dimentichiamo neanche questa sera che la guerra continua e uomini e donne innocenti e anonimi ne sono le vittime. E il mondo, ogni giorno che passa, è più diviso, più avvelenato da odio e da inimicizia, più abitato da volontà di vendetta e di ….
Giovanni Paolo II continua il suo magistero di pace, di riconciliazione e così fa anche il vostro Arcivescovo, magistero che noi accogliamo e che vogliamo soprattutto ritenere come occasione per ascoltare maggiormente il Vangelo e compierlo attraverso la conversione, il mutamento di sentimenti, di parole, di comportamenti nella nostra vita quotidiana.
La pace di cui ciascuno di noi è responsabile e operatore è generata sempre da noi con la grazia sempre preveniente ed è una pace che se è in noi si estende, si dilata dove noi viviamo come la pace tra gli uomini.
Ambrogio, il vostro grande Padre della Chiesa così invitava i cristiani in una catechesi quaresimale: “Cominciate dentro di voi l’opera della pace così che una volta raggiunta la pace dentro di voi la possiate portare agli altri uomini”.

Ecco, con questi sentimenti e queste urgenze che abitano il nostro cuore, ora ci predisponiamo a riflettere sulla preghiera, questa eloquenza della nostra fede, questo dialogo con il Signore attraverso il quale noi cerchiamo la comunione con Dio.
Anche questa sera allora chiediamo al Signore lo Spirito Santo. Cercheremo di comprendere che cosa sia la preghiera di lode, quella che tanto è attestata in tutto l’Antico e NT e che sembra la prima reazione quasi spontanea e naturale che nasce nel cuore del cristiano quando ha ascoltato il Dio che parla.
E adesso, in piedi, preghiamo:
Dio, nostro Padre, noi ti offriamo questa ora della nostra vita e vogliamo rinnovare la nostra comunione con te assidui nella preghiera. Invia dunque nei nostri cuori il tuo Spirito perché noi non resistiamo alla sua luce ma l’accogliamo con gioia lasciando che la lode salga dai nostri cuori e ti canti quale Dio tra volte santo, benedetto nei secoli dei secoli.

Ascoltiamo la Parola dal Vangelo secondo Luca:
“In quel tempo i settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse: «Io vedevo satana cadere dal cielo come la folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra ogni potenza del nemico; nulla vi potrà danneggiare. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli».
In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: «Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto. Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare»”.

Abbiamo nelle riflessioni precedenti sostato sull’ascolto e sulla meditazione, cioè sulla forma primaria della preghiera cristiana.
Il nostro Dio è sempre Colui che ci ha amato per primo, dunque Colui che ci ha parlato per primo e noi dobbiamo credere all’amore – dice l’apostolo Giovanni – e quindi anche ascoltare e accogliere la sua Parola.
Proprio da questo ascolto e da questo meditare la Parola nasce una relazione tra Dio e noi, si accende una comunione, si stabilisce un rapporto che la Bibbia chiama in tutte le sue pagine “alleanza”.
E’ proprio l’alleanza che istituisce tra Dio e l’uomo una comunicazione che è dialogo, che è ascolto reciproco, che è parola reciproca, un dialogo che avviene nella libertà. Dio parla e parlando pone se stesso come presenza personale e viva e l’uomo che ascolta sente questa presenza fino a parlare a questo Dio che resta invisibile, ma come ha parlato così anche ascolta.
All’interno di questa alleanza è stato partner anche Gesù.
Gesù appare nei Vangeli fin dal battesimo ricevuto da Giovanni come Colui che è stato sempre in ascolto del Padre, ma Gesù appare anche come Colui che sempre si rivolgeva al Padre. Quante volte il Vangelo ci dice cheNon comprendono. Però Luca dice: “Maria conservava queste parole dette da Gesù nel suo cuore”.

Questa pagine di Luca ci dice dunque la necessità della perseveranza nell’ascolto, la necessità di conservare nel cuore la Parola di Dio, del meditarla, dell’interpretarla.
Gesù adolescente ma anche Maria diventano esemplari per noi, e ci dicono che la meditazione è una maniera privilegiata per entrare in comunione con Dio, dunque un modo privilegiato di pregare.
Ecco allora la riflessione che vi offro sulla meditazione in tre punti per aiutarvi nella accoglienza di questo itinerario.

Primo punto: la Parola di Dio è contentu8ta delle Sante Scritture.
“Dio ha parlato molte volte e in diversi modi nell’antichità, nei profeti e nella fine del tempo ha parlato nel Figlio”. Questo è il prologo della Lettera agli ebrei.
Ma questa Parola di Dio detta dai profeti, detta dal Figlio per noi è testimoniata nelle Sante Scritture. Le Sante Scritture, i libri che nei chiamiamo Bibbia sono la rivelazione di Dio attestata sotto forma di Scrittura, sono un documento storico, letterario che attesta la rivelazione di Dio, sono la forma scritta della Parola di Dio.
Permettetemi un esempio molto semplice ma eloquente che mostra il rapporto tra Parola di Dio e Scrittura, tra Parola di Dio e Bibbia.
Dio ha parlato ai profeti, i profeti hanno annunciato e predicato la Parola di Dio ricevuta al popolo.
Questa Parola è stata poi trascritta o dai profeti o dai discepoli in libri. E questi libri, di generazione in generazione, sono giunti fino a noi, prima in Israele e poi nella Chiesa.
Possiamo verificare la stessa dinamica dei Vangeli: Gesù ha annunciato la Parola di Dio predicando ma anche compiendo delle opere. Gli apostoli sono stati ascoltatori e testimoni perché han vissuto con Gesù: e questa Parola e queste azioni hanno predicato alla Chiesa nascente.
Ed è all’interno di queste Chiese che gli evangelisti hanno messo in forma scritta questa predicazione degli apostoli redigendo dunque il libro dei Vangeli. Ecco allora i libri, le Sante Scritture contengono la Parola di Dio.
Questi libri hanno degli autori, dei redattori, gli evangelisti, gli apostoli i quali sono degli autori umani e dunque anche i libri che loro hanno scritto sono opera umana scritti in lingua umana, ma questi libri contengono la Parola di Dio.
Se voi prendete in mano una Bibbia e la aprite voi vi rendete conto che è un insieme di libri, scritti attualmente in italiano, la lingua a voi comprensibile, ma voi sapete che gli originali sono scritti in ebraico (l’AT) e greco (il NT).
Ecco, quei testi in greco, in ebraico trasmessi fino a noi attraverso i secoli sono stati scritti da uomini che hanno raccolto parole ed eventi che testimoniano come Dio si è fatto conoscere. Ma davanti a voi quella Bibbia aperta vi presenta parole umane, scritti umani.
La fede della Chiesa e di Israele prima della Chiesa è una fede che testimonia che le Scritture sono sante, sono frutto cioè di una scelta, di una separazione e che contengono la Parola di Dio. Gesù si ritirava, andava nella solitudine, raggiungeva il deserto, vegliava nella notte, sì per ascoltare la voce del Padre, ma anche per parlare con Lui, per rispondere a quella voce.
Nella pagine che abbiamo letto dal Vangelo di Luca, noi conosciamo proprio una preghiera fata da Gesù, una preghiera personalissima. Sono poche le preghiera fatta da Gesù di cui i Vangeli ci parlano. A dire il vero soltanto questa e poi l’altra nell’ora del Getzemani, una preghiera di lode, di ringraziamento questa, una preghiera di domanda, di supplica quella prima della sua passione.
Avete anche potuto conoscere il contesto di questa preghiera che ci viene riferita sia da Luca che da Matteo.
Gesù invia in missione i suoi discepoli, li manda per i villaggi della Galilea affinché predichino la conversione, annuncino che il Regno di Dio è vicino e, come agnelli in mezzo ai lupi, consegnino la pace a quanti li hanno accolti.
E i discepoli obbediscono a Gesù: vanno, eseguono il mandato, e poi ritornano da Gesù. E vi ritornano con grande gioia, perché quella missione pareva loro riuscita.
Gesù li ha mandati a contrastare l’azione del demonio e i discepoli sono stati capaci, hanno scacciato i demoni, hanno curato i malati, hanno potuto portare la pace. Quella missione insomma, eseguita fedelmente nel nome di Gesù, è stata un successo.
E quando i discepoli tornati da Gesù gli raccontano, Gesù anche partecipa alla loro gioia. E con la sua capacità di vedere le cose da profeta vede che ormai satana sta per cadere dal cielo, che satana comincia davvero a perdere terreno, a arretrare. E la sua potenza è vinta.
Quella gioia dei discepoli diventa la gioia di Gesù.
E Luca dice che in quello stesso istante nello Spirito Santo, quello Spirito Santo che abitava in Gesù, che accompagnava sempre Gesù, quello Spirito Santo che ispirava Gesù, ebbene Gesù esultò con un movimento di gioia e fece questa preghiera “Io rendo lode a te Padre, Signore del cielo e della terra perché hai nascosto queste cose ai saggi e agli intellettuali e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, così è piaciuto a te”.
Gesù, in sostanza, riconosciuta la presenza, la missione di Dio nei suoi discepoli nella gioia eleva un grido di lode al Padre. Gesù constata che veramente Dio si serve di piccoli, di quelli che non contano per la sua azione. Gesù constata che Dio non si fa conoscere dai saggi, dagli intellettuali di questo mondo che confidano nel loro sapere, ma si fa conoscere dai piccoli che nella loro povertà, nella loro debolezza attendono tutto dal Signore e soltanto nel Signore confidano.
Gesù, sempre attento alla azione di Dio, dicendo “io ti lodo o Padre”, confessa la sua fede in Dio, magnifica il Signore.
Ecco, proprio in questa pagina noi possiamo cogliere il movimento della lode a Dio, il movimento di questa forma di preghiera che deve scaturire anche in noi, come lode al Signore che noi crediamo, nel quale mettiamo tutta la nostra fede.
E allora, come al solito, per aiutarvi in questa riflessione mi servo di alcuni punti precisi:
* il primo: la preghiera di lode è sempre un manifestare la fede in Dio.
Per la Bibbia non dovremmo mai dimenticarlo: lodare è credere, perché colui che aderisce a Dio e mette la fiducia in Lui, colui che riconosce Dio presente e vivente, sempre amante, naturalmente lascia sgorgare dal suo cuore dei sentimenti di gioia, di stupore, di meraviglia, sentimenti di amore che se vengono espressi verbalmente appaiono come una lode.
Certo questi sentimenti possono essere espressi con tanti termini, ma ciò che li riassume è la lode.
Che cos’è la lode?
Voi tutti conoscete il “gloria a Dio nell’alto dei cieli” che si canta in ogni liturgia domenicale. E sapete che proprio per dire la nostra lode a Dio noi diciamo “Signore ti lodiamo, ti benediciamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie”. Ecco, sono tutti verbi che dicono un atteggiamento di stupore, di gioia, di adorazione, di riconoscimento della grandezza e della gloria di Dio.
La lode è la responsabilità, è la risposta specifica sia del credente, sia del popolo di Dio.
Al Dio sempre preveniente che si dona, che si fa conoscere noi rispondiamo con un riconoscimento grato dicendo la nostra fede.
Di questo c’era certamente coscienza nel popolo di Israele da chiamare Dio – e lo potete verificare nel Salmo 22 – come “Colui che abita tra la lode di Israele”. Dio abita, si fa sentire là dove il suo popolo lo loda, là dove il suo popolo lo riconosce.
E allora comprendiamo perché nei Salmi si dica che è bello lodare il Signore, che è doveroso per i credenti lodare il Signore, che è dolce e soave la sua lode.
La lode nel suo senso più radicale è disinteressata, è gratuita, è sempre indirizzata a Dio stesso. Potremmo addirittura dire che la preghiera di lode costituisce la forma fondamentale della esistenza cristiana che riconosce Dio come creatore, Dio come Colui che è il salvatore, Dio come Colui che sempre viene verso di noi.
Lodare è una azione che nasce dalla pienezza di vita perché lodare e non lodare più si contrappongono come la vita e la morte.
Noi abbiamo perso questo senso della lode ma nella Bibbia la lode la può solo fare chi ha una vita piena.
Quante volte sta scritto che non possono lodare il Signore né la morte né gli inferi.
Tutto può lodare il Signore, tutto, tutte le creature, ma la morte e gli inferi no.
E addirittura in quella visione del Salmo 115 si dice “non i morti lodano il Signore, ma noi viventi” lo lodiamo perché ai viventi spetta la benedizione del Signore.
La lode dunque indica la giusta relazione che l’uomo stabilisce fra sé – Dio e il mondo.
Tra sé e Dio perché l’uomo si riconosce creatura e loda chi l’ha chiamato all’esistenza, chi gli ha permesso di essere, ma anche relazione tra sé e il mondo, riconoscendo che il mondo è dono di Dio, è frutto del suo amore per gli uomini.
Proprio quando l’uomo loda Dio allora spezza anche ogni legame di dominio, ogni legame di possesso, ogni legame di consumismo con il mondo.
Non so se sapete che il libro dei Salmi per gli ebrei è chiamato Tehillim, che significa “lodi”, il plurale di lode, anche se poi il salterio contiene una grande quantità di suppliche, di lamenti. Ma si chiama lodi perché è proprio la lode lo spazio in cui può avvenire la autentica relazione, il dialogo tra Dio e l’uomo.
Prima di tutto la lode, poi nella lode la supplica, e alla fine nuovamente la lode.
Tutti i grandi oranti dell’Antico e del NT hanno testimoniato anzitutto la lode del Signore: Mosè che canta al Signore per l’uscita dall’Egitto e il miracolo del mare, Anna che canta la sua lode (è il cantico che abbiamo pregato questa sera) perché il Signore l’ha resa feconda. I profeti che invitano Israele alla lode. Davide, questo cantore del Signore che ha cantato e ha lodato con le parole, con la musica, addirittura con la sua danza.
Ma nel NT Maria, Zaccaria che lodano Dio per la venuta del Messia.
Costoro però hanno lodato Dio sempre e i canti di lode che vengono attribuiti vogliono solo essere un segno della loro vita, una vita contrassegnata dalla lode perché in ogni tempo ve benedetto il Signore, “sempre occorre avere sulla propria bocca la lode” – dice il Salmo 34 – perché se è vero che l’azione di Dio è continua, che la presenza di Dio non viene mai meno, che la sua fedeltà è mai smentita, che il suo amore è sempre operante verso di noi, allora sempre noi dobbiamo lodare il Signore. Dice il Salmo 34: “L’amore del Signore dura tutta la vita”. E allora si deve lodare Dio sempre perché la lode è nient’altro che l’amore che risponde all’amore. L’amore nasce sempre dal riconoscimento dell’amore, ma diventa eloquente con la lode.
Care sorelle e fratelli, vivere la vita cristiana significa avere sempre nel cuore questa memoria di Dio, questo senso della sua presenza. E dunque lasciar sempre che si accenda in noi il sentimento di lode e di ringraziamento.
La lode è decisiva nella fede cristiana e ognuno di noi dovrebbe misurare la qualità cristiana della sua preghiera se sa lodare il Signore. Non la lode dei pagani che moltiplicano le parole, non la lode di quelli che elogiano Dio per propiziarlo, non la lode che si esprime in lusinghe per ottenere ciò che noi desideriamo.
La vera lode è stare davanti a Dio con sentimenti di gratitudine, narrando l’amore di Dio fedele; la lode cristiana è la modalità dell’esistenza che riconosce Dio e rifiuta gli idoli falsi; la lode cristiana può essere espressa addirittura dal silenzio stando davanti a Dio con uno spirito, con un cuore pieno di gioia e di gratitudine.
Il Salmo 65 inizia proprio così in ebraico “per te il silenzio è lode, o Dio”, ma vedete la nostra incapacità era tale a capire che anche il silenzio è lode che troverete nella nostra lingua tradotta un’altra cosa “a te si addice la lode, o Dio”.
Il testo ebraico non dice: a te si deve la lode, ma per te anche il silenzio è lode.
* Secondo movimento: ma perché noi dobbiamo lodare Dio?
In tutte le preghiere di lode presenti nella Bibbia che siano una lode diretta al Signore o che siano un invito alla lode c’è sempre una motivazione introdotta da un perché.
“Lodate il Signore – dice il Salmo – perché è buono”, “lodate il Signore perché eterna è la sua misericordia”, oppure “benedetto il Signore Dio di Israele perché ha visitato e redento il suo popolo” o nel Magnificat “L’anima mia magnifica il Signore perché ha guardato all’umiltà della sua serva”.
Tutte le preghiere di lode esprimono il fondamento della lode, la causa della lode attraverso un perché.
Ricorderete addirittura salmi, come il Salmo 136, quante volte ripete “perché eterno è il suo amore, eterno il suo amore per noi”.
Il cristiano ha infiniti motivi per lodare Dio in tutta la sua vita ma mi sembra che occorra evidenziare l’essenziale, i motivi fondamentali della lode nei quali poi ognuno di noi riconosce nello svolgersi del tempo e della vita dei motivi più precisi e più personali.
Innanzitutto il cristiano loda Dio perché lo ha creato e dunque lo loda per la creazione. Basta che noi guardiamo il cielo, che contempliamo il sole, la luna e le stelle, opera delle dita di Dio, per avere un motivo di gioia e dunque di lode.
Chi di noi, e lo diciamo anche con molta semplicità e molta sincerità non si rallegra di fronte a uno straordinario scorcio di cielo, di terra, di mare? Siamo presi dallo stupore, siamo invasi da una certa gioia, da un certo piacere e siamo spronati alla lode di Dio. Ma la cosa più importante all’interno dell’opera della creazione è che Dio ha chiamato alla vita ciascuno di noi. Ognuno di noi non è nato per caso e neppure per un destino dominante. Ognuno di noi non è venuto al mondo perché pensato, desiderato, voluto da Dio. Prima di nascere, quando eravamo ancora nel grembo materno – dice il Salmo 139 – “Dio era già il nostro custode, Dio ricamava il nostro corpo, Dio mostrava il suo amore per noi”, prima che noi fossimo consapevoli di questo amore.
Io sono sicuro che soltanto quando si ha questa certezza noi siamo capaci di lodare Dio e di riconoscerlo.
Credo che molti di voi ricorderanno ancora quelle che erano le preghiere che la nostra generazione imparava come preghiere del mattino e della sera: “Mio Dio ti adoro, ti ringrazio di avermi creato…”. Ti ringrazio di avermi creato: la prima parola detta al mattino. Questa la lode a Dio ogni mattina ed ogni sera. Ma questa è la lode che dovremmo saper fare alla fine della vita.
Non so se sapete che Chiara di Assisi, la grande santa, giunta l’ora di morire, era attorniata dalla sue sorelle che le chiedevano di lasciar loro una parola come eredità, come testamento. Chiara lasciò soltanto uscire queste parole “Mio Dio e mio Signore, io ti ringrazio di avermi creato”. E dette queste parole spirò.
Vedete la lode: la lode deve essere presente giorno dopo giorno, rinnovata ogni mattina, deve diventare davvero l’ultima parola che noi diciamo a Dio. Potergli dire prima di morire “sono contento, Signore, che mi hai creato, sono contento della vita che mi hai dato”.
E se noi siamo capaci di questo, siamo capaci anche di lodare Dio per tutta la creazione, ma se non siamo capaci di lodare Dio per noi, per la nostra vita, invano sappiamo lodare Dio attraverso tutta la creazione.
Ma quando ciascuno di noi trova motivo nella sua vita per lodare Dio allora è anche capace di scorgere in tutta la creazione una lode continua che sale a Dio.
Noi siamo tanto sordi, non sentiamo nulla, perché non sentiamo neanche la preghiera che abita in noi.
Ma un vero cristiano – e questa è l’esperienza di chi si esercita a pregare – a un certo punto della vita sente dentro di sé come una preghiera continua; il suo respiro stesso è costantemente un lodare il Signore e un chiedere al Signore la sua misericordia. Niente di più.
Un vero cristiano sente che anche quando dorme, anche quando fa dei lavori, anche quando la sua attenzione è tesa a delle cose umane, lui è abitato da questa lode, da questo respiro profondo che dice costantemente la lode a Dio e invoca misericordia, misericordia.
Chi riconosce in sé questa preghiera la riconosce in tutta la creazione perché tutte le creature animate, inanimate, in realtà lodano Dio.
Provate qualche volta nella solitudine, nella pace a esercitarvi nella preghiera guardando una foglia, guardando un sasso, e sentirete che dalla foglia e dal sasso, come da un uccello sale una preghiera a Dio.
Che cosa significano i canti delle creature, i salmi che invitano a lodare Dio, il sole e la luna?
Vi ricordate il cantico con cui si apre la preghiera della Chiesa la domenica mattina? “Sole e luna benedite il Signore, luce e tenebre benedite il Signore, freddo e gelo benedite il Signore, animali domestici e animali selvatici benedite il Signore”. Vedete, c’è questa preghiera di lode.
E noi dovremmo – dice la Chiesa – diventare voce di tutte queste creature e esplicitare nella nostra lode la lode cosmica che sale a Dio.
Avrete riconosciuto questa parole all’interno di una preghiera eucaristica: “e noi fatti voce di ogni creatura, cantiamo Santo, santo, santo”.
Ma per diventare voce di un sasso, voce di una foglia, voce di un animale occorre che la lode, il ringraziamento, salgano da noi, dalla nostra vita.
La lode. La lode la Chiesa l’ha voluta soprattutto mattutina a tal punto che noi chiamiamo Lodi la Liturgia delle Ore del mattino.
Quando sorge il sole, quando c’è l’avvento della luce che svelano la creazione è come se Dio puntualmente quella creazione ce la consegnasse come un dono. Allora anche noi ci svegliamo, riaccendiamo la nostra fede in Dio e lo lodiamo.
C’è un salmo che dice questo straordinario risveglio di un credente. E’ una esperienza credo che fate tutti voi al mattino quando vi svegliate e col primo pensiero andate a Dio come nel Salmo 57. Che cosa diciamo in quei momenti a Dio? “Il mio cuore è pronto, o Dio, il mio cuore è pronto. Io voglio cantare e lodarti, svegliati io intimo, svegliatevi arpa e cetra, voglio addirittura svegliare l’aurora”
Ecco la preghiera di lode. In quel momento riceviamo tutta la creazione nella luce, la riceviamo bella e buona come Dio la vide nel giorno in cui l’ha creata. E questo ci attende: la lode, la lode per il Signore.
Ma il perché della lode non è solo la creazione, ma è anche la redenzione, il destino affidato alla creazione che è la resurrezione. Il mondo, questa creazione, attraverso l’Incarnazione, è entrato in alleanza con Dio. Cristo si è fatto uomo, si è fatto creatura. Come uomo ha conosciuto la morte, ma è stato risorto dal Padre e con le sue energie di vita eterna sta facendo passare tutto il mondo dalla morte alla vita.
Ecco perché la lode per noi cristiani è una lode che è motivata dalla creazione, ma è motivata anche dalla redenzione, ed è una lode per la resurrezione di Cristo.
E’ una lode perché per noi cristiani ogni giorno è Pasqua, perché per noi cristiani la morte non è più l’ultima parola. Questa la ragione fondamentale per cui noi ringraziamo Dio. In Cristo siamo partecipi ormai della natura divina, partecipiamo ormai alla vita eterna. Le energie di resurrezione operano in noi.
* E infine, terzo movimento: la lode culmina nella preghiera eucaristica.
Abbiamo messo in evidenza come la lode, il ringraziamento, la benedizione abbiano un fondamento.
E abbiamo anche considerato come la creazione e la redenzione in Cristo siano la sintesi di tutte le azioni di Dio che suscitano e meritano la lode.
Per questo lode delle lodi, preghiera delle preghiere è proprio l’Eucaristia, l’Eucaristia che non a caso è indicata dai Vangeli di Matteo e Marco, che sono un eco della liturgia di Gerusalemme, viene chiamata “benedizione a Dio” data sul pane e sul vino. Eucaristia che invece in Luca e Paolo viene chiamata “ringraziamento a Dio” sul pane e sul vino.
La preghiera eucaristica che noi consociamo bene è nient’altro che una lode, ringraziamento indirizzato a Dio Paostiene e la porta a Dio, sempre memoria di Gesù Cristo attraverso il quale è confessato a Dio ogni onore e gloria.
Proprio nell’Eucaristia sale la lode a Dio per tutta la vita del Figlio, proprio nell’Eucaristia noi sentiamo le parole di quella alleanza definitiva fata nel Corpo e nel Sangue del Signore, creatura, pane e vino che vengono trasformati nel Corpo e nel Sangue di Cristo.
Ecco l’Eucaristia il cui scopo è la comunione col Signore, il condividere la sua vita divina e eterna fino ad essere il suo Corpo e vivere nella pienezza dell’amore perché Dio è amore.

Eccoci alla conclusione: lodare Dio, rendere grazie a Dio, benedirlo. Tutti termini che esprimono questa preghiera. Noi la dobbiamo fare per rispondere alla sua Parola, per rispondere al suo amore, ma soprattutto perché nell’Eucaristia – Eucaristia lo sapete è il termine greco per dire “render grazie, ringraziamento” – noi facciamo la preghiera delle preghiere e reintestiamo a Cristo tutta la creazione così come ciascuna nostra vita.
Nell’Eucaristia non c’è solo una lode delle labbra: questa è necessaria, ma nell’Eucaristia c’è il sacrificio di lode fatto a Dio, sacrificio della nostra vita, una vita che è chiamata ad essere lode a Dio.
Vi ricordate quel che diceva Gesù “Voi realizzate la Parola di Dio, vivete la Parola di Dio, fate la volontà di Dio e i pagani vedendovi daranno lode a Dio”.
La nostra vita è chiamata ad essere lode a Dio e causa di lode per quelli che non sono cristiani.
Ecco che cosa è la preghiera di lode: qualcosa di molto quotidiano ma che è il nostro rapporto primario con il Signore.
Voi sapete che Paolo nella lettera ai Romani dice: “Noi in verità non sappiamo né come pregare e neanche che cosa chiedere nella preghiera”, ma se noi lasciamo dai nostri cuori salire questo sentimento di gratitudine, di gioia, di confessione della fede, noi viviamo la preghiera di lode e siamo in piena comunione con Dio.4 – LA DOMANDA
Sorelle e fratelli amatissimi, nel nostro itinerario di riflessione sulla preghiera cristiana vogliamo questa sera soffermarci sulla preghiera di domanda, la forma più attestata nell’Antico e nel NT, una preghiera richiesta da Gesù stesso più volte, la preghiera che noi troviamo espressa nel Padre nostro.
La preghiera di domanda è certamente quella forma che riunisce maggiormente la preghiera di tutti gli uomini di ogni religione e di ogni cultura. Tutti gli uomini nella preghiera chiedono qualcosa a Dio.
La preghiera di domanda è la preghiera più spontanea e naturale con cui l’uomo che è nel bisogno, l’uomo che è un essere di desiderio si rivolge a Dio. Ma proprio per questo la preghiera di domanda rischia facilmente di non essere più una preghiera cristiana.
E’ dimostrandosi una preghiera pagana, cioè una preghiera rivolta non al Dio che si è fatto conoscere, il Dio che è rivelato e testimoniato dalle Sacre scritture e da Cristo, ma può diventare una preghiera rivolta a un Dio che è secondo i nostri desideri, secondo le nostre proiezioni, un Dio da noi manufatto, un idolo. E dunque se un idolo, un Dio che ha il volto perverso.
Noi questa sera ascolteremo come sempre innanzitutto la Parola di Gesù nel Vangelo. La accoglieremo e la mediteremo in modo da predisporci a una preghiera di domanda autentica, quella che vuole da noi il Signore, non quella di domanda che magari noi immaginiamo buona ed efficace.
E in questa consapevolezza noi non dimentichiamo che la nostra preghiera di domanda in questi giorni è e deve essere soprattutto una richiesta del dono della pace per il mondo. Tutte le Chiese sono impegnate in questa preghiera per la pace. E ogni giorno Giovanni Paolo II chiede una intercessione perseverante da parte di tutti i cristiani perché ritorni la pace, finisca l’inimicizia, scompaia il lutto e la morte.
Gesù ha detto ai suoi discepoli “Vi lascio la mia pace, vi do la mia pace, non come la da il mondo io la do a voi”. Ma questo dono che il Signore ci fa è un dono che non si impone contro la nostra volontà e il nostro operare. Noi per ottenere questo dono da Dio dobbiamo certamente chiederlo nella preghiera, ma dobbiamo anche predisporre la giustizia perché il dono ci sia fatto. Dobbiamo praticare la riconciliazione e non dobbiamo neppure dimenticare che il perdono è essenziale perché si aprano vie di pace soprattutto quando la storia è ottenebrata dal ricordo del male subito.
Chiedere la pace a Dio è innanzitutto imparare a desiderare la sua pace, non la nostra, non quella che magari da il mondo, perché sovente la pace che da il mondo è quella che è chiamata pace ma che è secondo gli interessi di quelli che vogliono quella sorta di pace.
E noi dobbiamo soprattutto incamminarci sulla via della pace. La nostra vita quotidiana, dove noi viviamo, dove incontriamo gli altri, dove noi siamo tentati da inimicizia, da egoismi, da pensare solo a noi stessi e per noi stessi magari contro gli altri.
Diceva Martin Luther King “la pace è un tessuto. Possiamo solo tesserlo con Dio”.
E allora predisponiamoci all’ascolto del Vangelo innanzitutto pregando e poi con un Salmo.

Preghiamo. Signore nostro Dio, eccoci anche in questa notte alla tua presenza per ascoltare la tua Parola. Invia su di noi lo Spirito Santo perché noi sappiamo accoglierlo nei nostri cuori e, ispirati dalla tua Parola, possiamo dialogare con te chiedendoti ciò che è secondo la tua volontà e secondo i sentimenti di Gesù Cristo tuo Figlio, benedetto con te e con lo Spirito Santo nei secoli dei secoli.

Ascoltiamo la Parola dal Vangelo secondo Luca:
“In quel tempo Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdonaci i nostri peccati, perché anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore, e non ci indurre in tentazione».
Poi aggiunse: «Se uno di voi ha un amico e va da lui a mezzanotte a dirgli: Amico, prestami tre pani, perché è giuntodre.
E voi lo ricordate, certo per la creazione, certo per tutta la storia della salvezza, ma soprattutto per la morte, resurrezione e venuta nella gloria del Figlio di Dio, il Signore Gesù.
Noi potremmo dire che la liturgia eucaristica è una norma di ogni nostra preghiera.
Ecco perché noi chiamiamo la preghiera eucaristica “canone”. Diciamo: questo è il canone, cioè questa è la regola, regola di ogni preghiera, regola di ogni benedizione, regola di ogni ringraziamento al Signore.
Chiamata anche “sacrificio di lode” l’Eucaristia diventa la legge per la nostra preghiera, sempre indirizzata a Dio Padre, sempre fatta attraverso lo Spirito Santo che la s da me un amico da un viaggio e non ho nulla da mettergli davanti; e se quegli dall’interno gli risponde: Non m’importunare, la porta è già chiusa e i miei bambini sono a letto con me, non posso alzarmi per darteli; vi dico che, se anche non si alzerà a darglieli per amicizia, si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono almeno per la sua insistenza.
Ebbene io vi dico: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!».”

Abbiamo ascoltato un insegnamento di Ge4sù sulla preghiera, l’insegnamento più importante dato ai discepoli perché contiene anche la forma della preghiera cristiana, il Padre nostro. Contiene poi una esortazione alla preghiera e infine contiene la specificazione dell’oggetto della domanda e dell’esaudimento.
Sono tredici versetti che noi non possiamo certamente commentare stasera, ma solo evocare per essere guidati nella nostra riflessione.
Gesù era assiduo alla preghiera. I Vangeli ci testimoniano che sovente si staccava dai discepoli, andava in un luogo in disparte, oppure si alzava nella notte per pregare personalmente Dio.
I discepoli devono essere stati colpiti da quel suo atteggiamento e proprio perché lo vedevano così determinato nel pregare un giorno hanno osato chiedergli un insegnamento sulla preghiera.
D’altronde anche Giovanni il Battista aveva insegnato ai suoi discepoli. E resta vera che la preghiera soprattutto la si insegna. Noi la impariamo da qualcuno.
Ed è determinante che fin da piccoli ci sia qualcuno che ci precede e che ci insegna a invocare Dio, a invocare questa presenza che noi non vediamo, a rivolgere a Lui delle domande.
E’ uno stimolo alla fede ed è un dare eloquenza alla fede.
E Gesù consegna allora ai discepoli alcune esigenze sulla preghiera, esigenze che sono state raccolte in una orazione, quella che noi chiamiamo dal suo inizio Padre nostro. E Gesù dice che i discepoli devono chiamare Dio “Padre” come Gesù osava chiamarlo personalmente. Ma chiamandolo così si mostra la consapevolezza di essere dei figli amati da Dio e, all’interno di questo rapporto di comunione profonda, di amore, ma anche di fiducia – la fiducia che il figlio deve avere nel Padre – Gesù dice: si possono fare delle domande.
La preghiera di domanda. Ma nel Padre nostro non ci sono delle domande qualsiasi. Sono domande precise e fatte in un ordine preciso. Pregare il Padre nostro è già imparare a fare domande, è già imparare a ordinare le domande, riconoscendo che le domande devono essere fatte secondo un primato e che ci sono domande essenziali e altre che possono essere fatte ma che devono trovare il posto dopo ciò che veramente sta nel nostro bisogno. Dio è un padre e dunque sa ciò di cui noi abbiamo bisogno.
Ecco allora l’ordine delle domande e non so se ci avete mai pensato: innanzitutto noi preghiamo per Dio: Padre nostro, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà.
Noi preghiamo per Dio, ma queste tre domande sono il necessario, ciò che va domandato prima di tutto. Sono le domande sulle quali noi dobbiamo confrontare tutte le nostre domande e i nostri desideri.
S.Agostino diceva che la preghiera è un’officina dei desideri, il luogo in cui noi dobbiamo imparare a desiderare bene, a convertire i nostri desideri. Dio ci chiede di accordare le nostre domande alla sua volontà. Noi dobbiamo avere nel cuore, desiderare, chiedere a Dio e perciò operare per la santificazione del nome, cioè per il riconoscimento di Dio.
Dobbiamo desiderare e pregare per la venuta del Regno annunciato da Gesù, inaugurato da Gesù, ma non ancora realizzato compiutamente.
Noi dobbiamo pregare che la volontà di Dio sia fatta in ogni creatura, le creature del cielo e quelle della terra.
Fatte queste domande alle quali tutte le altre devono sottomettersi, il cristiano chiede poi il pane, chiede il perdono condizionato al perdono reciproco tra fratelli, chiede l’aiuto nella tentazione.
Questa la preghiera del Padre nostro. Ma dopo questa preghiera Gesù dice una parabola, dice una parabola che potremmo chiamare dell’amico importunato, un amico importunato che esaudisce l’amico a causa della sua insistenza.
E da questa parabola Gesù trae una esortazione: “chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto”.
E ancora torna ad immagini, le immagini della nostra vita affettiva, quella quotidiana.
Gesù dice: ma Dio è un padre, e tra noi uomini un padre non da delle pietre a un figlio che gli chiede del pane, Un padre tra voi uomini non dà uno scorpione al figlio che gli chiede un uovo.
Ed ecco la conclusione molto importante: se dunque voi uomini che siete cattivi e non siete come Dio che è un padre buono, se voi date cose buone ai figli e non siete capaci di dare cose cattive quando ve lo chiedono, tanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono.
Ecco queste parole di Gesù sono molto illuminanti, sono una vera e propria catechesi sulla preghiera cristiana di domanda.
Dopo aver detto ciò che è veramente necessario, ciò che va chiesto al Padre, Gesù invita a chiedere, a pregare, a fare domande a Dio, ma specifica che il Padre celeste risponderà alle nostre richieste dando cose buone, soltanto dando cose buone, dando in dono lo Spirito Santo.
Allora ispirati da queste parole di Gesù cerchiamo di leggere la preghiera di domanda come sempre in alcuni punti che aiutino le nostre menti a seguire la riflessione.
* Innanzitutto: perché fare la preghiera di domanda?
Gesù, lo abbiamo ascoltato, comanda di chiedere, comanda di domandare a Dio ciò di cui abbiamo bisogno.
Paolo nella Lettera ai Romani al capitolo ( scrive: “Noi non sappiamo cosa chiedere secondo ciò che è necessario”.
E queste parole dell’apostolo dicono una verità che no non sempre siamo disposti ad ammettere: noi siamo deboli. Quando ci mettiamo a pregare siamo tentati di farlo come i pagani. Non sappiamo cosa chiedere nella preghiera “secondo ciò che è necessario”. Ma Paolo ci dice: “lo Spirito allora viene in aiuto alla nostra debolezza”.
Noi siamo tentati di pregare mossi da interessi, da utilità, mossi da angoscia e paura.
Sovente siamo portati a pregare perché in realtà siamo incalzati dal bisogno per una nostra dimissione. Chiediamo che Dio intervenga come onnipotenza e qualche volta – come diceva Lucrezio – noi affatichiamo Dio con parole e domande.
Insomma siamo dei pagani unicamente preoccupati dai loro bisogni.
E Gesù ci ha avvertiti: “non fate come i pagani che dicono: cosa mangeremo, come ci vestiremo perché il Padre vostro celesta sa ciò di cui avete bisogno. Non vi preoccupate di queste cose”.
Cominciamo a comprendere che la preghiera di domanda non è così facile. Non è facile soprattutto farla secondo ciò che è necessario, come dice Paolo. Eppure Gesù ci invita alla preghiera.
Proprio per queste difficoltà la preghiera di domanda – e questo ve lo devo dire – ha incontrato difficoltà e opposizione nella vita cristiana fin dalla antichità.
Nessuno di noi si scandalizzi, ma ci sono dei Padri della Chiesa che erano diffidenti verso la preghiera di domanda: Clemente da Alessandria, Origene hanno sollevato dubbi circa la richiesta di beni materiali fatta nella preghiera.
E molti Padri ancora nel Medio Evo concludevano che “comunque la preghiera di ascolto, di lode sono preghiere superiori alla preghiera di domanda”.
In verità io penso: il credente cristiano siccome prega sempre all’interno di un rapporto con Dio che è alleanza, siccome prega in Cristo, situandosi tra il già e il non ancora del dono della salvezza, il credente allora chiede e ringrazia sempre.
Nella preghiera cristiana è inscindibile l’invocazione dal ringraziamento, la domanda dalla lode.
L’uomo poi lui stesso è domanda, è invocazione soprattutto di fronte a Dio. E quando prega si mette davanti a Dio nella sua interezza. E’ una creatura in cerca di salvezza sempre, una creatura che fa sempre la domanda di senso, che ha sempre sete del volto di Dio, una creatura che si rivolge a Dio anche solo con lo sguardo, con il suo silenzio, con il suo corpo.
Vedete, la domanda fa parte integrante del dialogo con Dio, della relazione con Dio.
Dunque la preghiera di domanda non solo è legittima, ma è necessaria perché interpone Dio tra il nostro bisogno e la sua soddisfazione, elabora il bisogno, il desiderio, impedisce di sottostare alla dominante del consumo e della pretesa di comunione, confessando Dio quale creatore e signore del mondo.
Mi si permetta di ricorrere a una esperienza che tutti conosciamo, l’esperienza della relazione di amore, di amicizia. Chi ama per lo stesso motivo che ama desidera, fa domande e chi è amato vuole ricevere e donare, chiedere e rispondere. La relazione nell’amore tra uomini rimanda alla relazione dell’amore con Dio.
Comprendiamo allora perché l’apostolo Paolo scrive alla sua Chiesa: “io raccomando che quando vi radunate facciate domande, preghiere, suppliche per tutti gli uomini”.
Questa preghiera di domanda è giusta, buona, piace a Dio perché Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati.
* Secondo punto: ma se è legittima la preghiera di domanda, come farla? Come chiedere a Dio?
Se noi ascoltiamo le esortazioni di Gesù sulla preghiera certamente siamo colpiti dalla sua insistenza perché noi chiediamo, facciamo una preghiera di domanda. Ma dovremmo però anche essere attenti ad alcune precisazioni che Gesù fa. Gesù ha detto “chiedete e vi sarà dato”, ma ha posto anche alcuni “ma”, e sono queste precisazioni di Gesù che devono assolutamente plasmare il nostro modo di pregare.
Innanzitutto quando Gesù parla della preghiera e ci sprona a chiedere ci chiede di farlo “con fede”: pregate, chiedete con fede.
Altre volte dice che noi dobbiamo chiedere nel suo nome.
E l’apostolo Giacomo ci mette in guardia contro il chiedere male mentre l’apostolo Giovanni ci esorta a chiedere secondo la volontà di Dio.
Ecco queste precisazioni sono determinanti perché la preghiera di domanda sia autenticamente cristiana.
Chiedere con fede significa chiedere nello spazio della adesione a Dio, chiedere con fiducia in Dio e, quando uno chiede con fiducia, accetta che Dio risponda, esaudisca secondo la nostra richiesta.
Dio non è a nostra disposizione, non è una riserva di potenza a nostro uso.
E quando noi gli chiediamo qualcosa lo dobbiamo fare innanzitutto in una dimensione filiale, quali figli che si fidano di chi ha dato loro la vita, di chi li ha fatti crescere, di chi ogni giorno li sostiene, disposti in questa fede a non vedere realizzati i propri desideri. Nella preghiera la fede è determinante, la fede come fiducia amorosa, ma una fede che non è mai visione.
E attenzione: quando diciamo che bisogna chiedere con fede non pensiamo che la fede sia un ingrediente magico che ci permette di essere certi di essere esauditi. No, la fede ci permette di vedere l’esaudimento anche quando magari non siamo esauditi secondo la richiesta che abbiamo fatto.
Fare richiesta nel nome di Gesù – altra espressione – significa aderire ai suoi sentimenti, alla volontà di Gesù.
Chi prega nel nome di Cristo, o come viene espresso liturgicamente “per Cristo nostro Signore” indirizza a Dio domande, ma dicendo “te le faccio attraverso Cristo” dice “non come voglio io, ma come vuole Cristo”. E comunque sottomettendo la sua richiesta a “non ciò che voglio io”, ma “ciò che vuole Cristo”.
C’è un contenuto “ciò che “, c’è una forma “come” che in ultima istanza non devono essere le nostre ma devono essere quelle di Cristo.
La preghiera di domanda esige dunque un continuo discernimento sulle nostre domande, una continua purificazione, una continua conformazione ai sentimenti di Cristo, alla volontà di Dio.
Permettetemi rimandarvi a un ricordo. Forse le nuove generazioni non lo conoscono, ma le generazioni più anziane sì. Nel nostro fare preghiere di domande a Dio e nel non farle attraverso Cristo e secondo i suoi sentimenti e la sua volontà, quante volte abbiamo fatto preghiere che poi con la maturità della fede abbiamo giudicate non preghiere autentiche. Quanti di noi sono andati a scuola o all’esame passando ad accendere una candela perché l’esame andasse bene. Sarebbe stato giusto un tale esaudimento se poi c’era addirittura il non aver studiato?
Sorridiamo di quelle preghiere però non dimentichiamoci quanti mi han confessato “mah, pregavo allora, e poi non ho più pregato”. Vale a dire: pregavo spinto dal bisogno, dalla paura; quando ho visto che me la cavo da solo non chiedo a Dio più niente.
Vedete, la preghiera di domanda esige di essere sempre evangelizzata altrimenti noi chiederemmo a Dio la riuscita nella vita, il successo, chiederemmo addirittura potere, chiederemmo addirittura che Dio ci mandi delle possibilità economiche straordinarie senza chiederci se poi queste sono in solidarietà e in comunione con gli altri.
No, la preghiera di domanda cristiana esige sempre di essere evangelizzata, anche perché l’esaudimento stesso della preghiera fatta da noi deve essere creduto, avviene nella fede.
Molti uomini spirituali che hanno una grande esperienza di preghiera ci avvertono che la scoperta dell’efficacia della nostra preghiera, la scoperta dell’esaudimento dipendono soprattutto dal nostro progresso nella fede e nella vita spirituale.
Nella preghiera non sempre abbiamo occhi per vedere che nella fede noi siamo già esauditi. Dio risponde, ma risponde meglio di quello che noi ci attendiamo da Lui.
Quante volte diciamo che Dio non ci ha esaudito mentre in realtà dovremmo dire “siamo così duri di cuore che non ci accorgiamo che in realtà ci ha risposto, ma ci ha risposto non nel modo nel quale attendevamo.
Come già dicevamo prima le domande insegnateci da Gesù nel Padre nostro devono avere l’orizzonte della nostra domanda e noi dobbiamo essere certi che Dio ci dona il Regno, che la sua volontà si compie come salvezza per tutti gli uomini.
Ecco perché nella preghiera di domanda il grande esempio per noi è Gesù, Gesù nella passione, Gesù nel Getzemani. Di fronte all’arresto imminente, di fronte a quella passione e a quella morte che si avvicinava Gesù prega il Padre perché passi da Lui quel calice. I Vangeli ci dicono che lo ha fatto tre volte, cioè con perseveranza, con insistenza, che è stata una domanda fatta tra grido e pianto e sudore di sangue. Ma Gesù ha fatto quella domanda nell’orizzonte del compimento della volontà di Dio “non la mia ma la tua volontà sia fatta, Padre”. E Gesù è stato esaudito.
Sembrerebbe che la sua richiesta non ha avuto risposta da Dio perché Lui è entrato nella passione, Lui ha conosciuto la morte violenta fino all’ora in cui il Padre ha fatto silenzio davanti a Lui e Gesù ha insistito nella preghiera di domanda: “Padre, perché mi hai abbandonato?”
Eppure la Lettera agli ebrei al capitolo 5 dice che Gesù, avendo gridato con forti grida e lacrime, fu esaudito per la sua perseverante preghiera.
Gesù chiedeva al Padre di liberarlo da quel calice, di liberarlo dalla morte. E Gesù è andato alla morte, ma il Padre gli ha risposto facendolo risorgere per una vita eterna, una vita nuova, una vita divina. E Lo ha esaudito molto di più di quel che Gesù gli aveva chiesto. “Gesù – dice la Lettera agli ebrei – così imparò l’obbedienza”, cioè imparò a conformarsi alla volontà del Padre che, sempre si è compiaciuto di Lui, quale Figlio amato.
La preghiera di domanda fatta nel nome di Gesù e fatta con fede ci insegna, come ci dice l’apostolo, che ciò che noi chiediamo, noi in profondità lo riceviamo. Anzi, l’abbiamo già ricevuto da Dio.
* Terzo punto: ma la preghiera di domanda ci ottiene sempre lo Spirito Santo.
Abbiamo ascoltato Gesù che ci comanda “chiedete e vi sarà dato”. Certamente Gesù ci ha invitato così a chiedere cose buone, non le cose cattive che contraddirebbero non solo alla nostra dignità, ma all’amore, alla comunione di tutti gli uomini.
Cose buone, dunque, dobbiamo chiedere, come il pane che il figlio chiede al padre. Noi non dobbiamo chiedere a Dio pietre, ma sovente – permettetemi di dire – noi chiediamo a Dio pietre e, siccome Dio ci dà del pane lo accusiamo di averci dato pietre.
Ma allora cosa sono le cose buone? E’ proprio specifica di Luca questa parola di Gesù. Forse Luca ha voluto togliere le parole di Gesù da un equivoco, un equivoco che restava nella versione di queste parole nel Vangelo secondo Matteo.
Avrete tempo a casa di vedere, ma il parallelo del nostro brano nel Vangelo secondo Matteo recita così “se voi cattivi essendo sapete dare cose buone ai vostri figli, tanto più il Padre darà cose buone a quelli che gliele chiedono”.
Ma l’equivoco è “il padre darà le cose buone”. Perché detto così le cose buone, nella misura in cui noi pretendiamo di giudicare quelle che sono buone, allora poi diciamo che Dio non ci ha dato le cose che abbiamo chiesto.
Allora in Luca avete notato il mutamento che il vostro foglio riporta “se voi cattivi essendo, sapete dare cose buone ai vostri figli, tanto più il Padre darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono”.
Le cose buone sono lo Spirito Santo. Questo Dio ce lo da sempre quando noi facciamo la preghiera di domanda. Questa è la certezza di essere esauditi perché lo Spirito Santo ci assicura Gesù sempre ci è dato quando noi lo invochiamo. Lo Spirito Santo è innanzitutto la vita vera, lo Spirito Santo è la remissione dei peccati, lo Spirito Santo è la consolazione nella prova. Lo Spirito Santo è la vera intelligenza, lo Spirito Santo è il senso del senso.
Questo il dono che Dio non fa mancare a chi lo invoca.
Lo Spirito Santo è la cosa buona. Questo significa che Dio attraverso lo Spirito Santo ci concede ciò di cui mancavamo, ciò che è necessario, ma che è necessario per la vera vita.
E permettetemi degli esempi.
Quando noi preghiamo per la fame nel mondo Dio non farà mai piovere sacchi di grano dove c’è la carestia. Inutile.
Ma perché dobbiamo pregare per gli uomini che hanno fame? Perché in questo pregare Dio manda lo Spirito Santo nei cuori, lo Spirito Santo che spinge alla solidarietà, che spinge a dar da mangiare a quelli che hanno fame.
Nessuna illusione. Se noi chiedendo a Dio “Signore ricordati di quelli che hanno fame” vivessimo poi nella dimissione, sarebbe una gran comodità, addosseremmo a Dio delle responsabilità che sono nostre e la preghiera di domanda diventerebbe una bestemmia.
Quando noi preghiamo per la pace Dio certo non scende a fermare gli eserciti, non impedisce la guerra, ma può nelle menti di quelli che invocano lo Spirito Santo immettere pensieri di pace e soprattutto produrre una conversione facendo dei cristiani degli strumenti di pace nel mondo.
Quando noi preghiamo nella malattia per avere la salute, per essere guariti la nostra preghiera non ci assicura la guarigione, ma in quella preghiera che diventa una lotta noi impariamo con l’aiuto dello Spirito Santo a fare anche della malattia un cammino di amore. Arriviamo a darle il nome di croce, cioè a vederla come un luogo in cui si possono amare gli altri fino alla fine, fino all’estremo.
Ecco la preghiera di domanda. Lo sapete bene: se siamo colpiti da una malattia mortale Dio non ce la toglie, ma nel chiedere a Dio: perché? nel porre domanda, nel chiedere anche la guarigione, nel mettere il nostro cuore davanti a Lui noi impariamo ad accettare anche quella malattia e a farne una occasione in cui continuiamo ad amare.
Ecco perché Gesù dice: certo voi chiedete cose buone”, e chiedere la salute è una cosa buona, ma il Padre risponde certamente con lo Spirito Santo. Quello sì non mancherà a chi lo invoca.
La preghiera di domanda – non a caso – viene chiamata anche intercessione da una parola latina “intercedo” faccio un passo, perché la preghiera di domanda ci spinge a fare un passo, ci spinge ad una compromissione attiva, a un prender sul serio la relazione con Dio e la relazione con gli uomini.
Quando i cristiani intercedono fanno una azione che è ricchissima di significato.
Pensateci: quando pregate per una persona che è ammalata, vicina alla morte, quando pregate per altri che sono nella sofferenza, per altri che sono vittime, quel pregare per loro che cosa significa?
Innanzitutto ognuno di noi facendo questa preghiera riconosce innanzitutto la smisurata limitatezza del nostro fare il bene agli altri. Dobbiamo fare del bene agli altri ma non possiamo assolutamente togliere agli altri il dolore, la sofferenza, la morte.
Poi facendo la preghiera per gli altri ci disponiamo ad assumere i bisogni degli altri fino ad esaurimento delle nostre possibilità. E poi ci diciamo disposti a con-soffrire con gli altri, disposti alla compassione, questa grande virtù cristiana.
Pregare per gli altri, intercedere è il segno più evidente e più maturo della responsabilità verso gli altri.
E poi chi intercede, chi prega fa questo fuori dello spazio pubblico, lo fa quando non è richiesto dalle convenzioni sociali, lo fa senza sperare il contraccambio né una gratificazione personale. L’intercessione rivolta a Dio, il Dio che sa e conosce la nostra preghiera, l’intercessione, così è un grande esercizio di amore per i fratelli, per le persone care, addirittura per il nemico.
Non so se avete mai avuto qualche volta un nemico nella vostra vita. A volte appare il nemico, non si tratta uno magari che voglia proprio la vostra morte, ma uno che vi fa del male, uno che vi contraddice, uno che incausa tristezza.
Ebbene, l’unica cosa che può fare un cristiano è pregare, è pregare per lui “pregate per i vostri nemici”. E pregando per il nemico poco per volta si accetta che l’altro sia nemico senza essere noi nemici dell’altro.
E il grande cuore del cristiano è il cuore di Cristo.
Insomma l’intercessione per gli altri non è “a te Dio che non sai io dico che l’altro è così, e fa qualcosa”, ma è piuttosto metterci davanti a Dio dicendo “io voglio prendere tutta la responsabilità dell’altro, condividere con lui il dolore, aiutarlo per quanto mi è possibile”
Ecco, noi abbiamo meditato su alcuni punti riguardo alla preghiera di domanda.
Io vi invito semplicemente a farla questa preghiera secondo la tradizione cristiana ogni sera prima di andare a letto. I Padri della Chiesa insistevano su questo: prima di andare a letto un momento ci si inginocchia sul tappeto e si comincia a dire a Dio i nomi di quelli che noi amiamo, a partire da quelli che sono nella famiglia e dicendo i loro nomi. Li diciamo con il segno della giornata. A volte ci hanno dato gioia e ci permette di ringraziare Dio, altre volte ci han dato fastidio, altre volte ci hanno ferito e preghiamo lo stesso per loro.
Ed ecco che la protezione e la misericordia di Dio si estende su tutti.
E poi pregare per quelli che si sono incontrati durante la giornata.
E poi pregare per quelli che il giornale ci ha detto che sono lontani, ma sono nel bisogno, nella sofferenza, fino a pregare per quelli che magari sentiamo come avversari e nemici.
E poi se altri sentono che siete uomini e donne di preghiera sicuramente durante il giorno c’è chi vi ha detto “ricordati di me nelle preghiere, prega per me”, e allora pregate anche per loro.
Guardate è così bello alla fine della giornata radunare tutti i volti delle persone in Cristo, metterli davanti a Dio e per tutti, per tutti chiedere a Dio la gioia, la pace, la salute, la bontà.
E’ un grande esercizio ad amare tutti, ad avere un cuore dilatato come il cuore di Cristo.
Chi non sa fare preghiera di domanda significa che lui innanzitutto non ha bisogno di Dio e che pensa che gli altri non han bisogno di lui. E alla fin fine che neanche lui ha bisogno degli altri.
Un tale uomo è semplicemente in una prigione, la prigione dell’amore di se stessi.5 – LA CONFESSIONE DEL PECCATO

Sorelle e fratelli carissimi, ormai il nostro cammino quaresimale sta per essere concluso.
E la prossima settimana, la settimana santa celebreremo la Pasqua del Signore.
La quaresima vuol essere soprattutto un tempo di conversione, di cambiamento del nostro modo di pensare e del nostro modo di operare. Un cambiamento di vita.
E ognuno di noi davanti al Signore può valutare se questi quaranta giorni sono stati vissuti radunando tutte le nostre forze, esercitandoci nel ritornare a Dio. Ognuno di noi può discernere nel suo cuore il frutto della grazia e dell’acconsentimento ad essa.
Resta però vero e sempre noto(?) al di là dei risultati che possiamo verificare, e di cui a volte è concesso rallegrarci, restiamo non solo fragili e deboli nella tentazione, ma anche segnati dalla colpa, dal peccato, dalla contraddizione alla volontà del Signore. E così siamo costretti a confessarci peccatori e bisognosi della misericordia di Dio.
Fu chiesto ad un Padre del deserto: “Abba che cosa è veramente necessario ad un cristiano?” E l’Abba rispose: ”L’unica cosa di cui abbiamo sempre bisogno è la misericordia del Signore. Ne abbiamo bisogno ogni giorno, ne avremo bisogno nell’ora della nostra morte”.
Questa sera la nostra meditazione sarà proprio sulla preghiera come confessione di peccato e domanda di perdono.
E così termineremo questo nostro cammino sulla preghiera cristiana.
Ma questa sera, neanche questa sera dimentichiamo l’ora che viviamo nella storia degli uomini, questa ora di guerra che non abbiamo saputo fermare.
Certamente noi siamo contenti che la guerra sia finita presto e prima delle previsioni degli stessi belligeranti . Siamo nella gioia che è finita per molti uomini una situazione di tirannia, ma manteniamo anche il pensiero riguardo a questa guerra come via di morte. E sappiamo che le ferite portate sono profonde: non sappiamo ancora né contarle né leggerle nella loro profondità.
Proprio per quella che impareremo dalla Parola di Dio questa sera è necessario che la nostra preghiera sia una invocazione di misericordia e contemporaneamente una confessione delle nostre colpe.
E quando c’è una confessione di peccato le colpe sono davvero distinte di chi le ha commesse, di chi ha voluto la guerra, di chi non ha saputo impedirla, colpe di chi ha combattuto con le armi, di chi ha combattuto con altri mezzi.
Ecco perché quando noi cristiani confessiamo una colpa la confessiamo sempre in solidarietà con gli altri, assumendo anche la colpa dei nostri fratelli su di noi perché la solidarietà del peccato è profonda. Ed è proprio questa solidarietà del peccato che una volta confessata è trasformata dal Signore in una comunione di santità.
Predisponiamoci anche ora con un Salmo all’ascolto del Vangelo e soprattutto invochiamo lo Spirito Santo perché ci convinca di peccato, del peccato che abita in noi al quale noi soggiacciamo, nella certezza però che il nostro Dio è misericordioso e compassionevole, lento all’ira e grande nell’amore. Questo il nome del nostro Dio, ed è per questo che il nostro Dio quando entra in comunicazione con l’uomo libera innanzitutto una energia di misericordia e di amore.
Preghiamo: Signore, eccoci in ascolto della tua Parola viva ed efficace. Essa penetri in noi come una spada a doppio taglio e nella forza del tuo Spirito Santo ci chiami a conversione. Trasformi la nostra vita, rimetta i nostri peccati e faccia di noi dei discepoli di tuo Figlio Gesù Cristo. E’ Lui la sua Parola di amore e di misericordia, è Lui il suo perdono per tutti gli uomini, è Lui la nostra salvezza.
Sii benedetto ora e nei secoli dei secoli.

Ascoltiamo la Parola dal Vangelo di Luca:
“In quel tempo due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato»”.

E’ significativo che questa parabola sia stata collocata da Luca in relazione al tema della preghiera. Tema della preghiera introdotto all’inizio del cap.18 con quel incipit: “Gesù disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre e senza stancarsi”.
E’ una prima parabola che risponde alla domanda: quando pregare? E Gesù dice: occorre pregare sempre, essere insistenti come una vedova presso un giudice iniquo.
A forza di insistere Dio risponderà.
E poi la nostra parabola risponde a un’altra domanda: come pregare?Si tratta di pregare come il peccatore manifesta e non il fariseo, dice Gesù.
Ma Luca dice anche che Gesù pronunciò questa parabola per gli uomini religiosi, cioè quei credenti che a causa della loro fede, a causa della loro osservanza alla legge, a causa della loro pratica religiosa si convincono di essere giusti e finiscono per disprezzare gli altri.
Gesù sa, proprio perché anche Lui è un credente, anche Lui un appartenente ad una religione che Lui vive con tutto il popolo di Israele, Gesù sa che non basta essere figli di Abramo per essere dei veri credenti, per essere dei giusti. Gesù sa che ci sono barriere, distruzioni create dagli uomini che non sono tali per Dio.
Nel quarto Vangelo al capitolo 2 versetto 25 c’è una annotazione molto importante. Sta scritto che Gesù sapeva cosa c’era in ogni uomo, lo sapeva per una conoscenza profonda, per una attenta osservazione. E Gesù sapeva che ci sono dei credenti che in realtà sono increduli, che ci sono dei credenti abitati dalla idolatria, che ci sono dei credenti che ostentano la loro fede, ma poi non realizzano la volontà di Dio.
E i Vangeli ci mettono davanti molte volte persone che rappresentano dei tipi, delle forme di comportamento, soprattutto i farisei e soprattutto i pubblicani (traduzione un po’ strana di un termine che vuole semplicemente indicare quelli che hanno in modo manifesto una vita di peccato, pubblici peccatori).
Ed ecco allora i personaggi della parabola: un fariseo, cioè uno che all’interno del popolo di Dio vantava l’appartenenza a un movimento, un movimento segnato dallo zelo, segnato dall’osservanza, e un peccatore conosciuto da tutti come tale.
Entrambi salgono al Tempio a pregare, salgono al luogo della presenza di Dio, entrambi vogliono dunque entrare in comunione con Dio, pregare.
Ma le loro preghiere sono molto diverse. Non basta pregare, dice Gesù, occorre anche pregare in un certo modo, altrimenti la preghiera rischia di non essere cristiana, la preghiera non è efficace, la preghiera non mette in comunione con Dio.
Il fariseo, entrato nel Tempio, sta in piedi, nella posizione di chi è sicuro di sé, e subito fa nel suo cuore una preghiera che vorrebbe essere una lode, un ringraziamento a Dio. Il fariseo non è né distratto, né resta muto. Invoca Dio con convinzione. Lo chiama e gli dice: “Dio mi, io ti rendo grazie”.
Chi prega così Dio ha certamente consapevolezza di dover riconoscere la bontà, l’amore di Dio, l’azione di Dio nei suoi confronti. Ed è portato al ringraziamento perché riconosce che tutto ha ricevuto da Dio.
Non so se avete notato, ma queste prime parole del fariseo “io ti rendo grazie” (nel testo greco ……”Ti faccio eucaristia”, queste parole sono molto simili a quelle parole di Gesù nel grido di giubilo: “Padre, io ti ringrazio, Padre, io ti rendo lode”, quelle parole da noi commentate proprio in occasione della nostra meditazione sulla preghiera di lode e di ringraziamento.
C’è anche il perché: “Dio, io ti ringrazio perché…” e nel ringraziamento di questo uomo religioso la lode sale a Dio non perché Dio ha compiuto una azione che è sempre amore e fedeltà nei confronti di quest’uomo, ma è un ringraziamento perché lui ha fatto, lui ha compiuto, lui ha osservato la legge.
Provate a rileggere questa preghiera del fariseo: “Dio mio, io ti rendo grazie perché (non perché tu hai fatto), perché io, io, io …”. Il fariseo dice dunque a Dio il ringraziamento per le azioni che lui ha fatto, per la sua diversità dagli altri uomini che sono giudicati moralmente ingiusti, rapaci, adulteri.
Voi capite che in una simile preghiera tutto il rapporto con Dio è pervertito. La chiamata alla fede diventa privilegio, l’osservanza della legge una sicurezza, l’essere in una condizione morale giusta un pretesto per disprezzare gli altri che non sono giudicati tali.
Il fariseo può vantarsi di molte azioni buone, può anche vantarsi di possedere uno zelo che lo fa andare oltre la legge.
Questo fariseo è talmente zelante che fa più di quel che chiede la legge e lo mette davanti a Dio: io digiuno due volte alla settimana. La legge non chiedeva questo: la legge di Dio chiedeva soltanto un giorno di digiuno all’anno per la festa dell’espiazione. Lui e lo sappiamo perché questa era la prassi dei farisei, digiunava il terzo e il quinto giorno della settimana. E poi fa offerte al Tempio pagando la decima di tutto ciò che possiede. E’ perfino scrupoloso nella sua giustizia.
Da qui noi comprendiamo che per chi prega è possibile andare davanti a Dio invocato con convinzione, invocato magari con passione e sentimenti, ma in realtà non attendere nulla da Dio.
Quest’uomo non aspetta nulla da Dio, anzi racconta a Dio il bene che lui è capace di fare. La sua preghiera potrebbe essere riletta così: “Dio ti rendo grazie non per quello che tu hai fatto per me e in me, ma per quello che io ho fatto e faccio per te”.
Un uomo che non attende nulla da Dio e quindi non chiede nulla a Dio. Si sente un sano e non ha bisogno di un medico, si sente giusto e non ha bisogno della santità di Dio, si sente senza peccato e non ha bisogno della sua misericordia.
Gesù durante il suo ministero aveva avvertito che era possibile questo atteggiamento da parte dei suoi ascoltatori, aveva addirittura sperimentato come la sua predicazione era obbligata qualche volta a chiudersi per quegli ascoltatori che si sentivano giusti e sani.
Vi ricordate le parole di Gesù ripetute dai tre Evangeli sinottici; ha dovuto dire alcune volte “io non sono venuto per i giusti, ma per i peccatori, non sono venuto per i sani, ma per i malati”, cioè io non ho nulla da dire a quelli che si sentono sani, a quelli che si sentono giusti.
Gesù aveva anche denunciato la scrupolosità di certi uomini religiosi che nel loro zelo nel fare offerte al Tempio strappavano dai vasi posti sui loro balconi la decima parte delle foglie del rosmarino, della salvia, del basilico e della mentuccia. E poi trascuravano la giustizia e la misericordia.
Chi è convinto di essere giusto ringrazia Dio per quel che è. Non pensa di dover cambiare, ed è trascinato al disprezzo degli altri.
Ma ecco, di fronte a questa preghiera quella del peccatore manifesto. Costui è un uomo non garantito da quel che fa, anzi i suoi peccati visibili, che tutti sanno, lo rendono oggetto di diffidenza e di disprezzo.
Attenzione: questo personaggio della parabola non è semplicemente un peccatore manifesto, visibilmente peccatore per il mestiere che fa, un mestiere in cui costantemente c’è un contatto con i pagani, contrae l’impurità. Un mestiere che era proibito per il credente ebreo.
Quest’uomo è andato al Tempio nella consapevolezza sempre rinnovata a causa del giudizio degli altri che lui è un peccatore. Eco perché dice il testo del Vangelo “sta lontano” (diremmo noi “sta in fondo”), non osa neanche andare tanto avanti, non osa avvicinarsi al Santo dei santi, là dove c’è la presenza di Dio. Non alza neppure gli occhi verso quel luogo ricolmo di santità. Si batte il petto e dice soltanto “Dio mio, abbi pietà di me che sono un peccatore”. Non ha nulla da vantare, ma sa che avvicinandosi a Dio, il santo, essendo peccatore può soltanto implorare misericordia, perdono.
Questo pubblicano sta davanti a Dio nella coscienza che anche ha avuto l’apostolo Pietro al momento della vocazione. Vi ricordate la vocazione di Pietro, ricordata proprio nel Vangelo di Luca? Gesù incontra Pietro, Gesù lo chiama, ma Pietro come sente la santità di Gesù gli urla “allontanati da me che sono un peccatore”.
E qui il pubblicano sta lontano dalla presenza di Dio e chiede pietà. E allora Gesù da il giudizio su queste due preghiere e sui due che le hanno emesse. E dice: “il fariseo torna a casa senza essersi messo in comunione con Dio, senza aver ricevuto la giustizia di Dio su di sé mentre quel peccatore torna a casa riconciliato, in comunione con Dio.
Potremmo dire che il linguaggio dei profeti che Dio ha messo le nuvole tra la preghiera del fariseo e lui per non ascoltare la preghiera, perché la nubi fermi la preghiera, mentre invece ha ascoltato la preghiera del peccatore.
Ecco come pregare: la parabola detta da Gesù ci dice che c’è un atteggiamento preciso nella preghiera che va assunta per incontrare il Signore e che in questa preghiera occorre confessare il proprio peccato e invocare misericordia.

Ma ora, illuminati dalla sapienza di questo Vangelo, meditiamo sulla preghiera di confessione dei peccati con tre pensieri:
* Il primo: la preghiera è anche confessione dei peccati.
Voi sapete che nei Salmi che sono la preghiera del popolo in alleanza con Dio, sono contenuti i Salmi non solo di ascolto di Dio, non solo di lode a Dio, non solo di domanda a Dio e non solo di meditazione sulla sua Parola, ma anche Salmi nei quali il credente confessa a Dio il suo peccato e invoca il suo perdono (come il Salmo 32 che abbiamo pregato insieme, come il Salmo 51, Miserere che tutti conoscete a memoria, come il Salmo 130, il De profundis che tutti conoscete a memoria, ma come altri Salmi, come il Salmo 36, il Salmo 38, il Salmo 143).
Significativamente la Chiesa ne ha classificato soprattutto sette, i sette Salmi che vi ho citato come Salmi penitenziali, Salmi che sono la preghiera di un peccatore.
Il credente che è in alleanza con Dio quando si accinge ad entrare in comunione con il Signore, quando si accinge ad ascoltare la Parola del Signore, diventa consapevole che a quella alleanza lui ha mancato, che a quella alleanza alla quale Dio è sempre fedele, lui è venuto meno. Per questo il credente quando si avvicina a Dio sente il dovere di fare, per quanto è possibile la verità su se stesso, riconoscendo la colpa commessa, assumendola fino a confessarla davanti a Dio. D’altronde in ogni forma di preghiera che sia ascolto, che sia meditazione, che sia ringraziamento, è sempre necessario cogliere se stessi, la propria situazione nei confronti di Dio.
Se ascoltiamo la Parola di Dio, questa Parola diventa per noi anche un giudizio, non solo buona notizia. Ed è questa Parola che ci chiede di misurare su quale strada stiamo camminando, se stiamo andando verso il Signore o se abbiamo deviato.
Il credente non può fare a meno di sentire il proprio peccato quando si avvicina alla santità di Dio. Ed è per questo che confessa la sua colpa.
Tacere la colpa davanti a Dio provoca una situazione in cui si geme, provoca “una situazione in cui si sente la mano di Dio pesante su di noi”(come dice il Salmo 329, significa portare il peso del peccato non solo psicologicamente ma con tutto il nostro essere a cominciare dalla nostra dimensione spirituale che sente la contraddizione portata nei confronti della volontà di Dio (come dice il Salmo 38).
Il Signore vuole che quando entriamo in comunione con Lui noi diventiamo sinceri nel cuore, che noi facciamo emergere la verità nella nostra tenebra.
E noi lo sappiamo, lo sappiamo dalla fede, lo sappiamo anche dalla nostra esperienza, se abbiamo una vita di assiduità col Signore, che il Signore scruta i pensieri del cuore, che la sua Parola ci penetra fino alla profondità del nostro essere come una spada penetra al punto di divisione nell’anima e nello spirito, e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore.
Dice la lettera agli ebrei al cap.4,12 “Noi per esperienza sappiamo che Dio ci conosce là dove noi non ci conosciamo”. Proprio da questo nasce la verità su noi stessi, la nostra capacità di discernere il nostro peccato.
E allora possiamo dire al Signore: “io confesso contro di me le mie offese al Signore” (Salmo 32,5) oppure “Sì, io riconosco il mio peccato, il mio errore mi è sempre davanti, contro te, contro te solo ho peccato, ciò che è male ai tuoi occhi io l’ho fatto” (Salmo 51).
Confessare i peccati davanti al Signore nella preghiera non è solo assumerli e assumerli con delle parole dette nel cuore o dette con le labbra, ma secondo tutto l’Antico e il NT, confessare il peccato significa presentarlo al Signore perché Lui porti la nostra colpa e dunque la cancelli.
Questa è la fede dell’ebreo ed è la fede resa più salda del cristiano.
Noi andiamo al Signore con piena fiducia, nella consapevolezza che se confessiamo i nostri peccati egli ci purifica da ogni ingiustizia. Noi sappiamo che se andiamo al Signore fino a discutere con Lui, Lui fa diventare bianchi come la neve i nostri peccati che sono scarlatti come il sangue.
Scaturisce nel confessare il nostro peccato al Signore anche il dolore, un dolore – e lo dico con forza – non solo psicologico, ma il dolore di un cuore contrito (come dice il Salmo 51), un cuore contrito e un cuore a pezzi che noi presentiamo davanti al Signore, un cuore che causa lacrime di compunzione che talvolta scendono sulle nostre guance dagli occhi, ma ci sono lacrime anche nel profondo del cuore, quelle lacrime di Pietro dopo il rinnegamento, lacrime di stupore per l’amore di Dio, lacrime che nascono dal confronto con l’amore di Dio e la nostra inimicizia, la nostra contraddizione a Lui.
Ma noi oggi più che mai abbiamo coscienza non solo dei nostri peccati personalmente commessi, ma anche degli aspetti sociali del peccato, aspetti sociali passivi e attivi nel senso che ci sono strutture di peccato in cui noi siamo immessi dalla vita, ma anche aspetti sociali attivi perché i nostri peccati hanno una ricaduta come cattivo operare per i nostri fratelli.
Proprio per questo nell’AT non ci sono solo i Salmi che abbiamo evocato, Salmi di confessione personale, ma ci sono anche delle confessioni di peccato collettivo, dunque confessioni che avvengono in liturgie pubbliche, comunitarie, di tutto il popolo.
In queste liturgie viene proclamato il peccato nella solidarietà, nella solidarietà dei credenti peccatori e infedeli a Dio, nella solidarietà di una alleanza infranta da tutti.
Abbiamo più volte queste liturgie comuni, ma ne ricordo alcune: nella liturgia di Neemia al capitolo 9 quando chi presiede quella liturgia dice: “io e tutta la casa di mio padre abbiamo peccato”, e la descrizione di quella liturgia suona così:”si radunarono tutti i figli di Israele per confessare i propri peccati insieme ai peccati dei padri”.
Abbiamo una liturgia simile nel Libro di Baruc: “da quando il Signore ci ha fatto uscire dall’Egitto fino ad oggi noi ci siamo ribellati al Signore, di generazione in generazione”.
Abbiamo anche un’eco nel Salmo 106 “Noi abbiamo peccato come i nostri padri”.
Ecco la solidarietà dei credenti che si sentono peccatori, solidarietà nel tempo attraverso i secoli, ma anche qui e ora con tutti i fratelli e le sorelle credenti.
Anche questa confessione dei peccati collettiva è preghiera di confessione al Signore, riconoscimento della sua santità, della sua presenza, del suo esser partner di una alleanza contraddetta, ferita o smentita.
E’ proprio nella coscienza di questa solidarietà di peccatori che Giovanni Paolo II con il Giubileo ha voluto fare quella preghiera chiedendo al Signore perdono dei peccati commessi da tutta la Chiesa, anche nei secoli passati, perché c’è una solidarietà nel peccato che non dobbiamo temere di confessare al Signore.
E poi il peccato è sottile: c’è una fragilità che in realtà ci tocca tutti. Se qualcuno ne avesse il dubbio permettetemi una semplice notazione. Quando si diventa anziani – non prima – ci ricordiamo che c’erano delle debolezze, delle fragilità, a volte dei vizi, dei peccati in nostro padre, in nostra madre, e noi detestavamo con grande forza quelle loro debolezze. E, venuti anziani, vediamo che quelle stesse debolezze, alcune sono state ereditate da noi. Questo ci dice la solidarietà nel peccato, se vogliamo vederla, in profondità c’è.
Certo ognuno resta responsabile dei suoi peccati, ma siccome poi i peccati sono gli stessi di tutti noi, nel peccato c’è solidarietà.
E allora noi comprendiamo bene perché la Chiesa all’inizio della Eucaristia ci chiede proprio questa confessione di peccato al Signore.
E notate, questa non è una esigenza recente perché già all’interno della Didachè – un libro che non è entrato nel NT, ma che è un libro contemporaneo agli scritti del NT, certamente un libro scritto prima della fine del primo secolo, così questo autore che presenta la dottrina degli apostoli esorta “quando voi vi riunite nel giorno del Signore, la domenica, spezzate il pane e fate eucaristia, dopo aver confessato i vostri peccati”. Quello che facciamo oggi all’inizio della Eucaristia la Chiesa lo ha sempre fatto dalla generazione apostolica.
Per entrare in comunione col Signore è richiesta anche una preghiera come confessione dei peccati.
* Ma la preghiera di confessi9one dei peccati, secondo punto, è anche invocazione della misericordia di Dio.
Confessare il peccato è già chiedere misericordia, perché certamente noi lo facciamo nella certezza che il nome del Signore è quello dato a Mosè “Dio misericordioso e compassionevole, lento all’ira, grande nell’amore in fedeltà, che conserva l’amore per sempre e perdona la colpa, la trasgressione e il peccato” (Es. 34,6).
Allora il grido è “Pietà Signore, Miserere mei Deus, Kyrie eleison.
Questa invocazione così semplice ma che è presente nella preghiera di tutti i cristiani, di tutte le Chiese noi la troviamo già nel Vangelo, una preghiera fatta a Gesù “Signore abbi pietà di me, Signore abbi pietà di me peccatore”.
E’ l’invocazione del pubblicano, semplicissima invocazione, ma in cui c’è l’essenziale di ogni richiesta al Signore.
E poi voi che pratica il Rito ambrosiano sapete meglio di tanti altri, perché voi ripetete sovente questa parola “Kyrie eleison, Kyrie eleison, Kyrie eleison” nella Liturgia delle Ore e in tante altre occasioni.
E’ il retaggio di una Chiesa che non temeva di ripetere più volte ciò che doveva apparire essenziale nella preghiera dei fedeli.
E chi conosce la preghiera orientale, la liturgia orientale sa quante volte anche in essa “Kyrie eleison, Kyrie eleison, Kyrie eleison”. E’ una richiesta di misericordia che significa anche invocazione dei frutti del perdono che sono la creazione di una novità di vita, di una novità del cuore: “crea in me, o Dio, un cuore nuovo”, significa effusione dello Spirito Santo, significa dono della gioia, della pace, quella pace piena che contraddistingue l’alleanza con Dio.Il credente che chiede pietà vuole ricominciare da capo, non vuole solo che il peccato venga perdonato, ma che sia dimenticato, sia reputato mai commesso, come ha promesso il Signore.
Voi sapete quel che dice la Scrittura: “Il Signore nostro Dio non rimette solo il peccato, non perdona solo il peccato da noi commesso (come facciamo noi uomini); quando Lui lo perdona lo cancella, lo dimentica, come se noi non l’avessimo mai fatti. E questa è una operazione che a noi uomini è impossibile: noi arriviamo a perdonare, ma dimenticare il male subito, mai. Dio nella sua onnipotenza invece sì.
Ecco è la novità di vita di chi in Cristo è una nuova creatura, la novità di vita di chi può dire “oggi ricomincio” e può sentire questa parola che gli viene da Dio: “va, neanche io ti condanno, va e non peccare più”
Allora qui sgorga davvero il ringraziamento “io ti rendo grazie, o Dio, perché tu guardi con amore a tutti, a me povero peccatore di cui hai pietà e agli altri miei fratelli il cui peccato non mi è estraneo.
Questa è la preghiera che il Signore voleva da quel uomo religioso.
Ed è proprio all’interno di questa preghiera che noi facciamo l’esperienza della salvezza, anzi, l’unica esperienza di salvezza che ci è data di fare in questo mondo, in questa vita, la conoscenza della remissione dei peccati, come cantiamo nel Benedictus ogni mattina.
Remissione dei peccati che otteniamo con questa preghiera di confessione a Dio, ma otteniamo anche nel calice Ecco è questa che deve essere la nostra preghiera soprattutto alla fine del cammino quaresimale e alla vigilia della Pasqua del Signore.
Diceva un Padre del deserto “chi riconosce i propri peccati è più grande di uno che risuscita i morti e chi sa confessare i suoi peccati al Signore e ai fratelli è più grande di chi fa miracoli nel servire gli altri”.

Fratelli e sorelle il nostro itinerario sulla preghiera cristiana termina qui.
Insieme, davanti al Signore, noi diciamo insieme l’unica richiesta “Signore abbi pietà, Kyrie eleison” perché l’unica cosa di cui abbiamo bisogno davvero è la misericordia di Dio.eucaristico assumendo il sangue per la remissione dei peccati. Remissione dei peccati che otteniamo anche nell’ascolto del Vangelo perché Gesù ha promesso che la sua Parola ci rende puri.
* E infine a conclusione, questa preghiera di confessione è un itinerario di conversione.
In verità quando noi percorriamo questa preghiera noi facciamo un itinerario di conversione perché così ritorniamo al Signore, così riprendiamo la comunione con Lui.
Il Signore lo ha detto: non vuole la morte del peccatore ma che il peccatore si converta e viva.
E in verità è il Signore che ci fa ritornare a Lui, che ci attira, che ci chiama dalle situazioni in cui noi gemiamo smarriti, perduti come pecore.