Nessun profumo vale l'odore di quel fuoco

Chiacchierate al Caminetto su Mario Mazza (1882-1959) Scautismo ed Educazione

Incontro al caminetto con Pino Agostini e Vittorio Pranzini

Villa BURI 26 ott 2019
IL PENSIERO EDUCATIVO DI MARIO MAZZA E LA FORMAZIONE DEI CAPI
Vittorio Pranzini

Agli inizi del Quattrocento il più celebre degli educatori del Rinascimento, Vittorino da Feltre, trasformò una magnifica residenza principesca dei Gonzaga, detta la Zojosa, ritrovo di divertimento della corte, nella più celebre istituzione educativa dei suoi tempi, la Casa Giocosa., riuscendo a realizzare, con un mirabile spirito di spontaneità e di armonia l’integrazione fra una concezione cristiana della vita e la cultura classica, con lo scopo di promuovere una formazione integrale della personalità. Rispettoso dei gusti e delle inclinazioni di ogni singolo ragazzo, Vittorino, sviluppava lo spontaneo svolgimento della loro personalità, attraverso il gioco e gli esercizi fisici (equitazione, lotta, scherma, nuoto, palla, danza, ecc.) la cultura classica, la scienza e la musica. Già in questo programma si avvertivano interessanti spunti di concezioni educative moderne: l’importanza del gioco, il rispetto della personalità, il senso della libertà interiore, il metodo preventivo, per la ricerca di un’armonia interiore.
Dopo Cinquecento anni, M. Mazza all’inizio della sua grande avventura dello scautismo coglie l’importanza e l’attualità dell’esperienza della Casa Giocosa, nel 1904 prima ancora della nascita dello scautismo, fondando le Gioiose, il cui nome è già di per sé un programma divertente, per la ricerca di una armonia educativa, per integrare fra loro spontaneità e impegno, passato e presente, libertà e autorità, gioco e lavoro. Vive in un periodo di transizione fra due modi diversi di vivere l’educazione, il Positivismo, che ha come obiettivo quello di “formare lo strumento testa”, e l’Idealismo di G. Gentile, secondo il quale “l’insegnamento non deve rivolgersi solamente all’intelletto ma mirare soprattutto alla formazione dello spirito, dando importanza alla fantasia del fanciullo e alla sua creatività”. Mazza non si cristallizza nell’adesione passiva all’una o all’altra teoria pedagogica ma, da osservatore attento, legge anche Rousseau, Pestalozzi, Froebel, cerca di cogliere gli elementi più positivi presenti nelle varie proposte, e cerca di armonizzarle fra di loro, senza che nessuna domini sulle altre, con grande fiducia nelle possibilità dell’educazione.
Nel 1935 si accosta al Maritain e riconosce nella “pedagogia della persona” la soluzione migliore per il problema educativo, la sua non è una ricerca per l’educazione ideale che non deve essere una speculazione astratta, una teoria pedagogica ma deve essere un impegno quotidiano sul campo e su diversi fronti. Infatti Mazza va ricordato soprattutto per il suo impegno rivolto al rinnovamento della didattica e alla sperimentazione educativa, realizzata con rigore scientifico. Si trova di fronte a una scuola che è: statica, volta a dare nozioni culturali relative alla tradizione e al passato; individualistica, che valorizza quasi esclusivamente il lavoro intellettuale; teorica, che si risolve in uno studio manualistico, non favorendo il contatto con il mondo dell’esperienza, e non tiene in conto l’interesse, quale categoria pedagogica. In questo contesto Mazza, con altri educatori, si impegna a rendere la scuola attiva, la cultura intesa come conquista del fanciullo, ritrovare l’armonia del fisico con lo spirituale, tra fare e conoscere; a ridare vita al principio del naturalismo, ricercando attraverso lo studio psicologico del bambino le sue reali attitudini, con un processo educativo di liberazione; a dare particolare importanza al lavoro sociale nella vita di gruppo, partendo dal concetto che la cultura non va divisa dal lavoro.
Ecco in estrema sintesi il pensiero educativo di Mazza che si integra con il metodo scout, che sono alla base della formazione dei capi, della quale fu responsabile nella rinata ASCI, dalla ripresa nel 1943 fino al 1948, quando conserva solo l’incarico per la stampa per i capi, che svolse fino al 1950, quando venne nominato commissario centrale onorario. Se sfogliamo i primi 8 numeri della rivista Estote Parati, usciti come circolare, nel corso del 1944, vediamo l’importanza che viene data alla formazione dei capi, nel difficile periodo di ricostituzione dei gruppi dopo la guerra, in alcuni articoli firmati dallo stesso Mazza, viene sottolineato che lo scautismo è un movimento educativo vero e proprio. La sua efficienza nasce da un metodo, diremo meglio da un arte educativa, dovuto a genialissime intuizioni ma anche ad esperienze ormai trentennali. Arte ed esperienza che presuppongono nei capi competenza e conoscenza, abilità che non si improvvisano.“…è necessario bandire la faciloneria, l’improvvisazione, il dilettantismo per addivenire ad una seria e concreta preparazione dei giovani che intendono assumere la grave responsabilità di condottieri di altri giovani.” Nella circolare n°3 si prevede un Corso normale di preparazione di allievi istruttori, con la presentazione di un primo programma nel quale sono previsti riunioni teoriche ed esercitazioni all’aperto. I temi delle relazioni, svolte da capi ed assistenti del Comitato Centrale, sono relativi a: Attività e fini spirituali del gran gioco, Tecnica del gran gioco e fini pratici del gran gioco (vedi programma dettagliato).Nel 2° fascicolo del 1946 viene presentato il programma della Formazioni Capi, in via provvisoria in attesa delle Norme del Consiglio Generale che ci sarà nell’anno successivo, che viene così delineato: un primo tempo, curato dalle zone, un secondo tempo curato dalle regioni, un terzo tempo di perfezionamento sotto la guida del Comitato Centrale.
In un lungo articolo intitolato Autonomia e responsabilità, che si trova nel fascicolo n°3 del 1949, Mazza prende in esame la mancanza di autonomia di molti capi “ si direbbe che a poco a poco si vada perdendo l’abitudine di pensare da sé, di agire per proprio conto. L’opinione che conta di più è quella degli altri…diventa così facile rinunciare a pensare con la propria testa…la manna che scende dal cielo è sempre una grande comodità…”. Per essere preparati bisogna voler fare e saper fare da sé, e il saper fare da sé quando si è capi significa sapersi mettere in testa alla fila e correre con gli altri, cioè promovendo l’attività di tutti, affinché ciascuno, a sua volta, cammini con le sue gambe…Invece, osserva Mazza, quanti sono i capi che si sono accinti a questa impresa senza un serio esame preventivo che comporta uno studio diligente del metodo e contemporaneo esame delle proprie attitudini e possibilità. I commissari ai quali compete la formazione dei capi dovrebbero cominciare il loro compito chiedendosi se l’allievo possiede una sufficiente conoscenza del metodo, se dimostra attitudini fisiche, intellettuali, morali per potersi dedicare a fare il capo, se ha disponibilità di tempo e di mezzi. Il metodo da usare se esistono queste condizioni è unico: mettere al lavoro i candidati e seguirli da vicino, mentre lavorano in modo autonomo, cioè sviluppando idee, iniziative, progetti disegnati da loro stessi, da soli o in collaborazione. Nella seconda parte dell’articolo, saper fare, Mazza “mette in guardia i capi novellini i quali pensano che per saper fare occorrano le seguenti cose: una ricca biblioteca scout, uno o più trattati che forniscano la pappa già bella e cotta; almeno una rivista di didattica scout; dei capi, meglio se centrali, che facciano la spola da una città all’altra per insegnare e consigliare. Perché i libri siano utili devono essere letti, riletti, che i suggerimenti siano messi alla prova pratica metodicamente, che nel progettare e svolgere le proprie esperienze con i ragazzi il capo cerchi sì di prendere il meglio dalle altrui esperienze ma sia convinto, a priori, che solo sbagliando per suo conto, di tentativo in tentativo, si procurerà i mezzi che va cercando.”
Un anno dopo, nel 1950, l’ultimo della sua collaborazione con Estote Parati, scrive un articolo per fare il punto sulla grande questione della formazione dei capi, per constatare che l’associazione a questo riguardo ha realizzato progressi notevoli. Segnala però che in diversi casi gli allievi si presentano ai campi scuola di primo tempo impreparati nelle prove più semplici della tecnica scout, che invece dovrebbero essere già conosciute a fondo, per poter discutere del loro valore educativo. Inoltra si lamenta che le regioni non aggiornano il commissariato centrale delle diverse branche dei lavori fatti nei campi di primo tempo, al fine di dare la necessaria omogeneità a tutte le esperienze di formazione dei capi. Comunque la parte principale dell’articolo è dedicata alla formazione religiosa che viene giudicata insufficiente e richiede un maggior impegno culturale, di cui suggerisce un percorso che ogni capo dovrebbe seguire. Questo tema Mazza lo aveva già approfondito in precedenza, in un articolo apparso sul n°1 del 1949, con il titolo Scautismo e Spiritualità – Concretezza, nel quale scrive: “Ripeterò ciò che deve essere ben chiaro a ognuno dei nostri capi: il Maestro è uno solo, il Cristo…quindi tutti coloro che si occupano di educazione possono assolvere il loro ufficio solo se si sentono procuratori del Cristo e si propongono di trasmettere i suoi insegnamenti e di esemplificarli innanzi ai giovani con la loro stessa vita.”