Nessun profumo vale l'odore di quel fuoco

COMUNITA’ CAPI ? comunità di adulti 2.0

All’Assemblea Regionale del Veneto mia sorella Cristiana è stata chiamata per fare una relazione e stimolazione sulla costruzione della CO.CA alias COmunità CApi….. debbo dire che rivisitando l’argomento mi è venuta in mente tutta la tensione che c’era in quegli anni per la dimensione COMUNITARIA della vita! C’era, infatti,  quasi un’ossessione sul fatto di condividere la vita in piccole comunità, e quindi per noi inevitabilmente la parola comunità evoca, principi, valori e metodi che ci hanno segnato. 

Partendo cioè dalla rivisitazione in chiave moderna delle prime comunità cristiane, e passando poi, alla nascita della Comunità  di Bose che in quegli anni prendeva forma e segnava nel panorama un nuovo orizzonte ai laici di quel tempo. 

E’ quindi con piacere e affetto allo stesso tempo che vi metto qui di seguito lo scritto di riflessione che mia sorella ha poi esposto in libertà all’Assemblea AGESCI VENETO. 

Ritengo altresì che questa potrebbe essere una riflessione utilissima in Comunità di adulti specie se scout, perchè ci indurrebbe allo sforzo del discernimento…….. alla valutazione della strada da prendere, per il futuro. 

Vi lascio alla riflessione e spero che molti apprezzeranno. 

cristiana

Cristiana Albertini

1- IL CONTESTO:

Correva l’anno 1974, l’anno della fusione AGI/ASCI , l’anno che ha segnato una svolta nella storia dello scoutismo: finalmente le due parti dell’associazione, che avevano fatto la loro strada piena di ideali comuni ma diversa spesso nei metodi, si ritrovavano faccia a faccia a confrontarsi e a cercare di percorrere un cammino nello stesso paesaggio.

Il ’74 ha messo in evidenza subito che la condivisione dei due sentieri, quello dell’AGI e quello dell’ASCI, non sarebbe stata una passeggiata…Era radicata in associazione una scelta di stile pedagogico -educativo di stile più maschile, d’altronde il cammino storico italiano ed europeo dello scoutismo seguiva , con le debite differenze locali, il cambiamento messo in atto a partire dai primi anni ’60.

Quindi , dopo lo scossone storico- culturale e del costume che invade l’Italia dopo il ’68, le due associazioni si trovano sempre più vicine e sempre più in movimento nelle molteplici domande che si creano a partire proprio dal quel mondo giovanile di cui facevano parte, giocoforza ASCI e AGI , cominciano a lavorare insieme, cioè i capi cominciano a provare a mettere insieme almeno una parte delle loro esperienze.

L’impatto non è stato semplice, le idee di entrambe le parti a volte apparivano più radicate di quel che sembrava. Ma la realtà richiedeva un rapporto diretto e, soprattutto a partire dai ragazzi e dalle ragazze e dai capi più giovani, ci si rendeva conto che non era più possibile restare separati.

La parte associativa più determinata sembrava essere l’ASCI , ma il confronto serrato era diventato inevitabile e l’AGI non voleva abbandonare la sua specificità , per cui buona parte dei capi si ritrovarono a discutere, a volte in modo acceso, le qualità di uno stile e le virtù o i limiti dell’altro.

Per fare un esempio, a partire dall’esperienza personale, basta pensare alla metodologia dei Lupetti e delle Coccinelle , in particolare all’Ambiente Fantastico che nell’ASCI era l’ambiente Giungla con la base di una serie di racconti tratti dal Libro della Giungla di Kipling , e nell’AGI una ambientazione che trovava nel Bosco un percorso pieno di incontri e di relazioni. Il dibattito nelle due branche è stato lungo , emozionante e a volte complesso, l’ASCI rivendicava la capacità attrattiva della storia di Mowgli e la sua morale per tipi, l’AGI proponeva una visione più aperta , meno legata ad una morale definita “rigida” , un legame tra la coccinella e la natura e una serie di incontri come tappe di crescita. Ma l’aspetto più evidente era anche che la parte femminile dell’associazione non voleva perdere né l’identità né il lungo cammino fatto. Per cui il lavoro tra capi si stava rivelando interessante , molto motivante e impegnativo.

Cosa c’entra tutto ciò con l’esperienza delle neonate Comunità dei Capi? 

Questa premessa è essenziale per comprendere che il percorso nasce proprio da qui, dall’esigenza di mettersi insieme, di confrontarsi , di creare uno scambio anche difficile o a volte conflittuale ma legato alla nuova storia dell’associazione.

Due le esigenze che emergono: 1) “non si può più pensare di fare strada ognuno per conto proprio”, una novità nello stile sia dell’ASCI che dell’ AGI dove spesso per i capi e le capo non era scontato condividere le attività nemmeno delle singole unità, ogni unità faceva attività “individuale” , spesso senza un progetto comune; 2) i capi e le capo sentono man mano l’esigenza di fare strada insieme per capirsi, conoscersi e mettere insieme quindi i due stili , con fatica ma con la convinzione di poter creare un Progetto Comune, dai più piccoli ai più grandi, una sorta di “grande famiglia” che aiuta la crescita dei ragazzi e delle ragazze in una società sempre più complessa e sempre più mista.

Un’idea innovativa si fa strada nell’immaginare prima e nel realizzare poi le piccole grandi Comunità dei Capi che si creano in tutta la penisola associativa: pensare insieme è più complesso ma è più arricchente, tiene conto delle varie parti e apre i pensieri, diventa possibile e importante allora lavorare sull’ipotesi di un comune Progetto Educativo , e si crea così man mano la mentalità che educare in AGESCI non è solo proporre attività pratiche estemporanee o ripetitive o legate solo alla tradizione ma è costruire insieme un Progetto che accompagni il lupetto , la coccinella, lo scout, la guida , il rover , la scolta in un percorso lungo , che parte dall’infanzia, passa attraverso l’adolescenza e approda alla piena giovinezza, un cammino che diventa vera e propria formazione educativa e pedagogica. Anche qui l’apporto delle capo è fondamentale, per una specificità e un interesse particolare nei confronti delle relazioni interpersonali e anche qui si denota una capacità “profetica” dell’AGESCI , in un momento di esplosione di valori culturali e , nello stesso tempo, di messa in discussione degli stessi.

Di conseguenza l’AGESCI , unione tra le due parti, si ritrova a valutare come il percorso fatto nelle Comunità dei Capi diventa fondamentale , non si può più tornare indietro perché condividere diventa la vita stessa della nuova realtà associativa, tanto che la terza esigenza che traspare è la necessità di avere la presenza nelle singole unità di almeno due capi di sesso diverso, questo per facilitare i rapporti e le relazioni con i ragazzi e le ragazze, soprattutto nelle unità miste, questo passaggio si chiama Diarchia e, in ambito educativo, rappresenta davvero un altro interessante aspetto profetico dell’AGESCI.

D’altra parte negli stessi anni anche la scuola tenta di rimettere in discussione la centralità e la assoluta dimensione singola dell’insegnamento , il maestro/a , il professore/la professoressa sono soli dietro alla cattedra, lo stile di insegnamento dipende solo dal singolo mentre la classe è una piccola realtà comunitaria. Con i Decreti Delegati degli anni ’70 entrano a pieno titolo concetti come Consiglio di Classe e rapporto con i genitori, la scuola si accorge che forse non basta solo apprendere ma che, soprattutto nella fascia delle elementari e delle medie, diventa impellente seguire la crescita delle giovani menti e innescare un processo di collaborazione con le famiglie e , se e dove possibile, con il territorio.

Le Comunità Capi sono formate in gran parte da capi giovani e da capi più maturi che, a volte con difficoltà, camminano insieme nella nuova realtà. La vita della neonata Comunità Capi risulta subito intensa: in linea generale la Co.Ca. si ritrova una volta alla settimana , ha un ordine del giorno e persegue gli obiettivi che si è fissata all’inizio dell’anno con la stesura del Progetto Educativo che interseca tutte le Branche, inoltre ci sono sempre i problemi imprevisti, le attività all’interno della Co.Ca. stessa e quelle all’esterno, famiglie, territorio, parrocchia e vita associativa generale.

Nello stesso tempo inizia ad emergere un’altra forte esigenza della Co.Ca. che è quella non solo di far servizio ai ragazzi /e e agli altri , ma quella di guardare anche al servizio al capo stesso, come persona in crescita che ha bisogno , con umiltà e coraggio, di guardarsi dentro e di comprendere il suo stato, le sue esigenze, i suoi desideri. Per questo si parla di Formazione Permanente del capo che passa attraverso la Formazione Capi , garantita dalla Co.Ca. stessa, momenti di verifica personali e comunitari fondamentali che , in itinere, hanno bisogno di continui aggiustamenti.

Per fare tutto ciò la Co.Ca. mette in atto delle strategie: a) un capo e una capo in piena diarchia come responsabili della comunità, b) un cammino di incontri e alcune uscite per creare un clima positivo e collaborativo.( E l’associazione regionale e nazionale spende una buona parte di energie per creare eventi speciali per le Co.Ca. , vedi tra l’altro, la Route di Co.Ca. Nazionali come ) E in tutto ciò la Co.Ca. evidenzia aspetti fondamentali del servizio scout che diventano così dei paletti insostituibili come la fratellanza e la solidarietà reciproca, che spesso sfociano in rapporti di vera e propria amicizia e, non di rado, anche d’amore: i famosi matrimoni associativi segnano per qualche tempo la vita delle Comunità e le relazioni esterne.

Ma le Co.Ca. di quegli anni si manifestano così anche per motivi contingenti alcuni dei quali sono molto diversi da quelli attuali: 1) i capi giovani che studiavano generalmente cercavano la scuola o l’università vicino a casa, spesso non avevano la possibilità di vivere fuori casa; 2) il sistema universitario era più semplice, il tempo delle sessioni d’esame era più cadenzato; 3) non c’erano Erasmus o altro , si viaggiava poco, il sistema di viaggio passava dalla bicicletta al treno, andare in aereo era perlopiù un lusso o un’esperienza straordinaria; 4) quindi i gruppi di conoscenza , almeno nelle città provinciali, partivano dalla realtà familiare per allargarsi alla scuola e all’associazione e, quindi, alla parrocchia, per dire che non c’erano i 500 amici di Facebook ma i …50 amici dei quali molti negli scout….

Quindi fare il capo scout voleva dire avere una rete di rapporti più vasta di molti giovani della stessa età e, soprattutto, condividere una parte di vita ; andare alle riunioni diventava non solo e non tanto un dovere ma era anche un modo di incontrarsi, di ridere e divertirsi, di suonare la chitarra e cantare canzoni, di poter fare uscite senza dover giustificare ai genitori, di incontrarsi anche il sabato aldilà delle riunioni, perché quelli erano i tuoi amici. Certo tutto ciò poteva essere limitante, il cerchio dei rapporti diventava a volte chiuso e il linguaggio usato esclusivo, in Co.Ca. si parlava lo “scoutese” e gli altri erano tagliati fuori, il fatto di essere scout in Co.Ca. ti faceva sentire parte di un gruppo, ti sentivi forte e anche protetto. Nel caso poi di un impegno oltre la Co.Ca., con un ruolo in zona, in regione o nazionale, la sensazione di appartenenza acuiva l’orgoglio e il senso della “missione” dell’impegno, tanto che la fatica veniva spesso compensata dalla consapevolezza del ruolo, aspetto che, visto col senno di poi, ha sempre rischiato di creare una dimensione di autoreferenzialità tipica anche nella nostra associazione.

Non vi nascondo che vivere in pieno questo periodo nell’associazione è stato emozionante e pieno di scoperte….

Nelle tracce della mia esperienza personale il ’74 segna un periodo strano: dopo tre cruciali anni di piena adolescenza trascorsi per trasferimento di lavoro del mio papà in Toscana, mi sono ritrovata a tornare in quel di Mestre ormai diplomata e con il desiderio di ricercare gli amici con i quali avevo fatto un lungo percorso scout, dal Cerchio fino al Noviziato/Clan, nel Mestre1° , del centro città.

Per seguire quindi gli amici ho accettato la proposta di aiuto capo nella nuova Branca L/C della Co.Ca. del Mestre 2° nel quartiere di Carpenedo, considerato allora un po’ di periferia.

L’idea di fare la capo mi piaceva, avevo già iniziato qualche anno prima ( una volta si faceva servizio anche a 15/16 anni!) nel Cerchio e ora mi sembrava una buona occasione per riprendere i rapporti.

D’altronde la mia famiglia mi aveva lanciato nel mondo scout da piccola, il mio papà era stato uno dei primi capi scout di Mestre e per me lo scoutismo era stato una esperienza che mi aveva permesso di trovare dei grandi momenti di libertà e di amicizia.

Nello stesso tempo il mio animo pigro e artistico a volte mal si congeniava con i ritmi e i tempi serrati e lo stile attivista del mio percorso associativo, non era nelle mie corde amare alla follia le sfide sopra i ponti fatti di corda e i salti impossibili sopra il fuoco di bivacco….

In Toscana avevo accettato di esprimere anche quella parte di me che era rimasta nell’ombra perché” essere scout significa essere anche dei duri”, volevo vivere anche questa parte di me pur restando in associazione. Per fortuna l’entrata nella Co.Ca. del Mestre 2° mi ha dato in gran parte la possibilità di diventare capo scout e di valorizzare l’altra parte di me , grazie ad un gruppo di persone che, come me in quel periodo, cercavano la strada della comprensione, della sperimentazione e non quella della rigidità.

In Co.Ca. ho trovato un mondo di relazioni, ho fatto un cammino di servizio piuttosto lungo ma insieme a persone con le quali ho condiviso ideali, idee , discussioni, emozioni e progetti, e tanta ma tanta amicizia che, ancor oggi, nonostante la distanza e le tappe dell’età, ci tiene uniti.

Con la Co.Ca. del Mestre 2° ho imparato ad uscire dall’ambito locale per inserirmi sia in quello regionale che in quello nazionale, accumulando esperienze e conoscenze impagabili, compresa quella con l’attuale compagno della mia vita. Nella mia Co.Ca. lo sguardo è stato quasi sempre aperto ai vari livelli associativi , molti capi della nostra Co.Ca. in quegli anni hanno svolto ruoli diversi nelle diverse parti dell’associazione, e questo ha creato in noi, oltre all’impegno, un forte desiderio di immaginare il cambiamento.

Nello stesso tempo , quando abbiamo iniziato a diventare più adulti, l’esigenza di una formazione personale è diventata importante e non sempre ricevuta dalla Co.Ca. stessa. Nel 1985 , dopo il matrimonio con Sandro e il conseguente trasferimento a Verona, mi sono inserita nella Co.Ca. del Verona 1° all’inizio come capo a disposizione ( ero incaricata regionale L/C e consigliera generale) e poi come Animatrice di Co.Ca.

E’ stata un’esperienza impegnativa perché lo stile di questa Co.Ca. era molto diverso da quella del Mestre 2°, mi trovavo in una posizione diversa , ero io insieme a Sandro a condurre le fila della Comunità e ho capito che le relazioni e i rapporti tra le persone, la conoscenza , il clima di fiducia, la stima e l’apertura e la fede sono elementi fondamentali per creare una buona base comune. Con la nascita delle prime due figlie e un nuovo impegno regionale , la distanza e il nuovo stile di vita , ho deciso di chiudere la parabola della mia vita in Co.Ca. , consapevole del mutamento del mio cammino e delle diverse esigenze reciproche.

Allora un senso di gratitudine alle mie Co.Ca. che mi hanno permesso di fare strada insieme e di scoprire grandi e piccoli amici.

  • Alcuni punti di domanda aperti per le Co.Ca. di oggi.
  • * Come sono i giovani capi oggi in una società radicalmente mutata in questi ultimi vent’anni?
  • * Quali le nuove esigenze?
  • * La Co.Ca. come momento di crescita: di che tipo di crescita hanno bisogno i giovani oggi?
  • * La Co.Ca. come aggregazione e luogo di amicizie: come sono cambiati i rapporti tra le persone? Le relazioni sono considerate importanti o diventa più importante fare l’attività?
  • * Dove il senso di speranza in una società che priva l’identità giovanile di futuro? In questa dimensione italiana manca una connotazione culturale che dia spazio e terreno alla creatività e all’ingegno dei giovani . Come osserva e risponde l’Agesci ? Cosa può fare la Co.Ca.?
  • * L’Università ha cambiato pelle , lo studio sostituisce il lavoro che manca . I giovani sono in bilico tra una sorta di limbo immaturo e poco definito , la ricerca di una difficile indipendenza economica, una pigrizia giustificatoria che si traduce in immobilismo, una laicità esasperata, un rigurgito di individualismo, una mancanza di speranza e contemporaneamente un desiderio, per molti, di cercare altrove motivazione….La mancanza di motivazione è centrale. Apparentemente non sono i ragazzi e i giovani protagonisti del cammino di questa terra. D’altra parte noi, come comunità generale, grazie ad un ventennio cultural-politico di basso profilo, abbiamo creato un terreno che ora bisogna riseminare.
  • Cristiana Albertini